Pensioni e manovra finanziaria. Non è tutto oro quello che luccica
Il Presidente del Consiglio Meloni, nella presentazione della manovra di bilancio da 35 miliardi, varata nei giorni scorsi dal suo governo per il 2023, al vaglio del Parlamento, aveva asserito di essere molto soddisfatta del lavoro fatto perché la sua manovra “ruota intorno a due grandi priorità: crescita e giustizia sociale”.
Due certezze che si scontrano con la dura realtà di un futuro quanto mai incerto e dei numeri, che non mentono mai, se letti con la dovuta attenzione.
La crescita, la si potrà quantizzare (con i freddi numeri) solo fra diversi mesi, a consuntivo.
La presunta “giustizia sociale”, di contro, è già oggi una grande falsità, un colossale bluff perpetrato esattamente ai danni di chi chiedeva più giustizia sociale, più aiuti per poter sopravvivere, vivere con dignità e meno patemi.
I pensionati al minimo, per esempio, di cui si parla tanto, a sproposito, che secondo il premier e tutto il suo entourage, mass-media schierati compresi, percepiranno il 120% in più della loro pensione minima (sociale). Un aumento che raccontato in soldoni avrebbe dovuto portare le loro pensioni dagli attuali 525 euro a 1.155. Ma con il passare delle ore e dei giorni si è dimostrata una pia illusione. Non sempre è tutto oro quello che luccica.
Poveri pensionati, presi in giro con un vorticoso gioco di parole, quasi di prestigio, pur di far passare un messaggio fuorviante. Infatti, quel 120% altro non è che l’adeguamento delle stesse pensioni al costo della vita (ISTAT). Un adeguamento previsto da tempo e pari al 7,3%, che questo governo ha deciso, udite udite, di incrementare del 20%, di qui quel 120% di cui tutti si sono riempiti la bocca, compreso il premier.
Un incremento portato all’8,76%, pari ad un incremento lordo mensile, raccontata in soldoni, di 45 euro, che innalzerebbe la loro pensione a 570 euro al mese. Una miseria, anzi no, una doppia miseria che sa di beffa, di doppia presa per… i fondelli, visto che quell’incremento non lo vedranno mai, altro che aumento in misura maggiore.
Perché?
Perché quel misero aumento sarà assorbito, meglio sarebbe dire inglobato, nella pensione di cittadinanza che quei pensionati al minimo già percepiscono dal lontano 2019, grazie al Conte1, di cui la Lega di Salvini era parte integrante.
In sostanza, la Meloni ha fatto finta di dare, ben sapendo che dalle casse dello Stato non sarebbe uscito un euro in più, e non sarebbe entrato nemmeno nelle tasche dei più poveri. Ha messo in atto un vero gioco di…prestidigitazione, spacciandosi per la salvatrice della Patria, non c’è che dire.
Ma non è finita.
I pensionati al minimo, i più poveri e quindi i più bisognosi, per intenderci, più che aiutarli questo governo li ha affossati ulteriormente se è vero, come è vero, che quell’aumento Istat, pari al 7,3%, è stato concesso a tutti. Ciò comporterà, come conseguenza, un ulteriore incremento del divario tra loro e chi percepisce pensioni più alte, anziché diminuirlo. Rispetto a ieri il divario tra una pensione di 525 euro e una di 1.906 aumenterà di ulteriori 120 euro al mese. In poche parole i poveri saranno sempre più poveri e sempre più lontani dal ceto medio, e i ricchi sempre più ricchi rispetto ai pensionati medio/bassi. E la sua affermazione che la manovra contiene interventi “rivolti al ceto medio, che non favoriscono i ricchi”, è vera, ma ha una sua logica nel momento in cui ci si dimentica di parlare o di interessarsi dei più poveri, degli ultimi.
I poveri sono quelli a cui la Flat tax ad aliquota fissa del 15% estesa fino agli 85mila euro, o l’incremento delle detrazioni, o la modifica degli scaglioni irpef, non porterà mai alcun beneficio, sono i dimenticati, gli invisibili, la zavorra, un peso morto. Altro che “giustizia sociale”. Se valessero realmente qualcosa, se ci si tenesse per davvero al loro futuro perché non pensare di portare le pensioni minime e di invalidità a 1000 euro mensili eliminando la pensione di cittadinanza? Questa sì che sarebbe una vera riforma epocale, almeno per gli italiani. Perché continuare a prenderli in giro? Solo per motivi elettorali?
Evidentemente le promesse sono funzionali al raggiungimento di determinati obiettivi. Visto che a lei e al suo governo interessano i furbetti, gli evasori a cui da sempre vanno incontro con la tanto osannata “tregua o pace fiscale”, che hanno inserito nella manovra, spiegando per giunta che “lo spirito da cui il governo si muove è un rapporto diverso tra Stato e contribuente: lo Stato non è più aggressivo e punitivo ma giusto e comprensivo verso chi è in difficoltà”.
Che a conti fatti però non contempla gli ultimi, anzi.
Il presidente del Consiglio ha avuto l’ardire di sottolineare che “non esiste alcun condono ma solo operazioni vantaggiose per lo Stato. Vengono annullate le cartelle inferiori a mille euro e antecedenti al 2015. Per tutti gli altri si paga il dovuto con una maggiorazione unica del 3% e la rateizzazione”.
In sostanza, dopo le varie rottamazioni, con un secco colpo di spugna si passa direttamente alla cancellazione del debito accumulato con l’Erario.
Della serie: “Chi ha avuto, ha avuto, e chi ha dato, ha dato”, scordiamoci del passato, tanto, siamo italiani. Un sonoro schiaffo in faccia a chi si è sempre preoccupato di fare il suo dovere al 100%.
Un modo di pensare e agire che fa pendant con una ulteriore azione messa in atto in questa manovra finanziaria, quella cioè di riattivare, con i soldi pubblici, quindi di tutti, la “società Stretto di Messina, attualmente in liquidazione, al fine di riavviare il progetto di realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina”. Una montagna di soldi pubblici il cui utilizzo non risolverà assolutamente gli annosi problemi logistici e di viabilità della Sicilia, ma sicuramente quelli economici di tutti gli operatori privati che parteciperanno alla realizzazione di una nuova cattedrale nel deserto.
Domanda. In tutto ciò, dov’è la tanto decantata giustizia sociale, l’attenzione alle famiglie povere e ai redditi più bassi?