GIACOMO LERONNI OSPITE A POLIGNANO, NAPOLI E ROMA -foto-
Sabato, 9 luglio, alle ore 21.30, al Festival di Polignano a Mare presso Vico Porto Raguseo, Salvatore Francesco Lattarulo e Anita Piscazzi hanno presentato il nuovo numero della rivista “Marsia”, dedicato a “mediterraneo/deserto”.
La rivista edita Progedit propone un “florilegio” saggistico di Carlo Cipparone, Giovanni Dotoli, Sara Ricci e del poeta gioiese Giacomo Leronni, in “silente volo” verso sempre più prestigiosi e autorevoli lidi, la cui verve poetica – apprezzatissima nel panorama nazionale – approda in ricercate pubblicazioni e conquista raffinati e competenti uditori di altissimo livello.
“In questo numero – recita una nota giunta alla redazione – un’articolata indagine di Giovanni Dotoli – tra i massimi conoscitori della letteratura in lingua transalpina – intorno a una “poetica mediterranea”, a partire dalla poesia algerina in lingua francese pregna di echi della cultura berbera e delle popolazioni nomadi del deserto. Un “luogo senza luogo” che ispira al professore-poeta anche un poema a tema. Con questo fa il paio il dossier in versi di Giacomo Leronni, in cui il deserto si mostra come un dio-totem tanto potente da prosciugare ogni slancio sacrificale. Inaridimento delle speranze e desertificazione dei sogni sono i temi che tengono banco anche nel saggio di Sara Ricci, che, usando la leva dell’intertestualità, solleva la rete di analogie che avvolge una poesia di Kavafis, tradotta da Montale, e il romanzo di Buzzati, “Il deserto dei Tartari”. L’assenza si nutre di frustre attese nella ridotta-mondo di Bastiano lambita dallo spettacolo infinito e desolato del nulla. E assetata di aspettative di riscatto è la fiumana di gente che si rovescia dalle zone presahariane del Maghreb sulle nostre coste in una sfida all’ignoto lanciata dentro un mare comune. Carlo Cipparone ne coglie l’eco dolente nel suo melologo. Risonanze interiori di una parte di mondo che sembra essere tornata al punto zero”.
Ben due le prestigiose “frequentazioni poetiche” di cui è stato protagonista di recente il nostro Giacomo Leronni.
Il 23 marzo era a Napoli, in Piazzetta del Nilo, in occasione della presentazione di “Frammenti imprevisti” di A.A. V.V. Kairòs edizioni, antologia poetica a cura di Antonio Spagnuolo che racchiude sei poesie inedite di Giacomo nella sezione “La gloria che ci sfiora”.
“Questa “antologia” – scrive Spagnuolo nella sua prefazione – non si prefigge alcun programma di focalizzazione e discussione circa i vari orientamenti stilistici o di creatività, attualmente inseguiti, ma, al di là di scuole e tendenze, al di là di divisioni cronologiche o generazionali, al di là di suddivisioni critiche e di scelte precostituite, cerca soltanto di riunire alcuni poeti che si sono impegnati e si impegnano nel fare poesia oggi.”
Il 6 marzo Giacomo Leronni era a Roma, nella libreria Odradek in Via dei Banchi Vecchi, in occasione della presentazione di “Quanti di poesia. Nelle forme la cifra nascosta di una scrittura straordinaria”, “quaderno di voci poetiche” edito “L’Arca Felice” in cui all’arte fotografica di Paolo Maggiani – davvero splendidi i suoi scatti, “pensati” per dar volto alle sillogi di cui divengono sapienti icone -, si accosta quella poetica di Giacomo ed altri sette stimati artisti-poeti contemporanei: Franca Alaimo, Anna Belozorovitch, Franco Buffoni, tra l’altro docente universitario di critica letteraria e letterature comparate, nonché fondatore e direttore di “Testo a fronte” e curatore responsabile dei “Quaderni di Poesia Italiana contemporanea”, Salvatore Contessini, Francesco De Girolamo, Eugenio Nastasi e Loredana Savelli.
L’antologia, riprodotta in 399 esemplari numerati a mano, fuori commercio e destinata a un pubblico di soli critici e poeti, consultabile presso la biblioteca comunale Angelilli, contiene una sezione inedita di Leronni dal titolo “Nel mio nome, per nessuno”, sette poesie inedite scritte dal poeta nell’ottobre del 2010.
Alla presentazione “romana” della raffinata plaquette – inserita in “un prezioso catalogo che ha già ospitato testi poetici e interventi critici di alcune tra le più prestigiose voci dell’arte e della poesia contemporanea” – sono intervenuti il curatore Roberto Maggiani, il critico Mario Fresa, la direttrice editoriale Ida Borrasi e i poeti, invitati a leggere alcune delle loro poesie.
“Il titolo, di stampo novalisiano – rivela nella sua prefazione Roberto Maggiani, fisico, docente e divulgatore scientifico oltre che poeta con all’attivo già sette raccolte pubblicate, nonché fondatore e curatore del frequentatissimo e sempre più prestigioso sito letterario www.larecherche.it. – è stato così scelto perché si vorrebbe, anche con questo quaderno di voci poetiche, dare avvio – o un nuovo avvio – ad una ricerca poetica fondata su nuovi paradigmi scaturenti da una sorta di principio di indeterminazione tra senso (percezione, intuizione, significato,…) della visione e parola. Il poeta spesso ha intuizioni che partono dalle forme, in senso fisico e in senso lato, proprio perché in esse è nascosto un significato altro del mondo, esse sono l’espressione di una organizzazione invisibile ai sensi, in esse si manifesta la cifra nascosta di una scrittura straordinaria, è proprio da esse che traspare l’intimo segreto della realtà, un mondo extrareale che rivela la propria esistenza nella bellezza, talvolta fugace, e nelle armonie che lo caratterizza, ma anche nelle ombre e nella corruzione insita nella realtà. Attraverso gli otto poeti proposti vogliamo rimescolare le visioni del mondo e provare a cogliere il loro pensiero su di esso, trarre dalle loro parole un senso, ridurre l’indeterminazione o espanderla nella nostra libertà di lettori, evidenziare la cifra nascosta che la loro scrittura senz’altro rivela. Se una verità esiste, la sua vera forma sarà quella che si ottiene componendo le molteplici visioni su di essa, irripetibili, di ogni uomo”.
Di seguito una delle poesie di Leronni, sintesi esplicativa ed estrema dell’intera sezione.
“Materia oscura”
Il sussulto degli olmi e degli storni
conclude per te la primavera:
parole che si ritraggono
per scampare al senso
crocicchi di pane fiammeggiante.
Nessuno ti ha chiesto
di ancorarti al tempo
di modellare la voce
che è pietra, ancora pietra
sasso liquido sciolto dagli occhi
nessuno prega
per il tuo puntiglio
per essere detto, ripetuto
fino alla noia
in sembianze nette
riconoscibili: cola invece
nel vento una sorprendente luce
di bacche, di resine
e oltre, nel sereno
una smaniosa coda di nuvole
che non sa dove poggiarsi.
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Infine l’intervista rilasciata da Giacomo Leronni a Roberto Maggiani, nella quale si esplicano dinamiche e pensieri che delineano la mission del poeta.
È possibile pensare ai poeti come a mediatori tra la realtà che si evidenzia nelle forme e una sorta di extrarealtà, evocata da Novalis quando afferma che nelle forme v’è la cifra nascosta di una scrittura straordinaria?
Non solo è possibile, ma a mio giudizio è esattamente quello che il poeta deve fare. Molti sono convinti che il poeta debba dar conto della realtà e alla realtà. Invece il compito del poeta è quello di calare nella realtà il gusto, il desiderio di ciò che travalica la realtà, di ciò che è prima, durante e dopo la realtà, di ciò che, esistendo da sempre, la supera in ogni momento. Nella dialettica fra forme e scrittura, poi, va posta la massima attenzione all’uso del linguaggio, che è la chiave di volta del sistema e informa di sé la materia poetica. In altri termini: se vogliamo richiamare o evocare nella realtà ciò che è più della realtà, allora dobbiamo ricorrere a un linguaggio differente rispetto a quello che ci aspetteremmo (anche noi poeti). Un linguaggio che non può non essere in qualche modo eversivo, estremamente spiazzante e, anche, positivamente inquietante rispetto a quello che usiamo tutti i giorni e che non fa altro che disporci alla ripetizione, più o meno coatta, delle stesse azioni e delle stesse interpretazioni. Se sapremo ricorrere a questo linguaggio, la nostra scrittura non potrà che rivelarsi “straordinaria”: non potrà che uniformarsi, cioè, alla sua vera essenza, al motivo unico e perenne per il quale appare nel mondo delle forme.
Che cosa caratterizza la tua scrittura poetica, se la tua poesia fosse un quanto di luce, da quali atomi del reale salirebbe? Fin dove arriva, o vorresti arrivasse, ad illuminare?
Credo che la mia scrittura poetica sia appunto caratterizzata da uno scarto evidente rispetto alla realtà così come siamo soliti codificarla. Io approccio la realtà che mi circonda secondo un’ottica visionaria, che rappresento grazie a un codice linguistico appositamente forgiato in anni di interrogativi orientati alla faticosa ricerca di uno stile. Mi sento lontano sia da una parte della poesia moderna, in cui il poeta racconta grosso modo il quotidiano della sua esperienza, sia dalla sua malattia o degenerazione in un tipo di scrittura esageratamente reificata, in cui le cose sembrano avere una vita in sé del tutto svincolata dalla mente che le percepisce. L’oggetto vive, in un certo modo, oltre noi: su questo possiamo convenire. Ma ciò non significa che, di fronte ad esso, la nostra ragione deve eclissarsi limitandosi ad accettarne la pura ed assoluta presenza e oggettività, perché questa accettazione, sotto mentite spoglie, è un trampolino verso l’annichilimento dell’uomo, verso il nulla. Ora, anche nella mia poesia è molto presente il vuoto, il nulla. Ma il fatto è che bisogna arrivare a parlarne rendendolo quasi carnale, dandogli sangue e anche desideri, piuttosto che infilarlo surrettiziamente in ciò che scriviamo attraverso una fredda raccolta ed elencazione di dati o oggetti. Ecco: vorrei che la mia poesia potesse dare un altro nome al vuoto in cui siamo immersi, senza eliminare il confronto per paura della sua evidenza, ma anche senza dare per scontato che si tratti di una realtà oggettiva priva di bagliori impagabili e di insospettabili speranze. E vorrei anche arrivare a dire qualcosa sul buio e sulla sua paradossale, estrema lucentezza.
Secondo te a cosa serve la poesia in questi tempi moderni? Qual è il suo ruolo?
Per quanto sia possibile parlarne in questi termini, la poesia serve a spiazzarci richiamando sotto i nostri sensi una realtà insospettabile. Serve a diffidare di tutte le certezze acquisite in favore di un’ulteriore, estrema e infinita ricerca, che ci dirà altro rispetto a tutto ciò che già sappiamo o pensiamo di sapere. Il suo ruolo è, dunque, estremamente benefico, anche se non può che procedere in modo rude, scomodo, aspro, spesso severo: si tratta di liberare l’uomo da ogni certezza, per abituarlo a cercare la verità da sé, immergendosi nel buio, senza aspettarsi aiuti o sconti; e ciò va fatto, a mio giudizio, senza adagiarsi in un linguaggio convenzionale, perché il linguaggio è la ricerca, è il territorio stesso, indivisibile dall’essenza dell’uomo, in cui si deve scavare. Questa è la mia idea, che certo non vuole porsi come assoluta. Personalmente, ad esempio, non credo molto nella poesia che si pone in qualche modo come consolazione al male di vivere. Ciononostante, molte forme di poesia sono perfettamente legittime se accostate alla vicenda personale di ciascuno, da cui nascono e a cui sempre ritornano. Per questo ritengo che la poesia serva a molte cose e a molte persone: a molte più cose e persone di quelle a cui siamo soliti pensare.