“GGATE”, FILM INCHIESTA SUI FATTI DI GENOVA 2001
Poco meno di un mese fa, gli “indignados” di tutto il mondo manifestavano in diverse centinaia di città contro la crisi globale, l’inefficienza delle istituzioni nel gestirla, il decadimento morale delle stesse, la speculazione delle banche, che amplifica le disparità invece di attenuarle. Solo a Roma, il corteo degli
“indignati”, arrabbiati sì, ma pacifici, è degenerato in una pericolosa guerriglia urbana dopo l’arrivo degli “incappucciati”, i black-bloc.
Di immagini di quello che è successo ne sono state mostrate a profusione da Tg e talk-show che, concentrati sull’ondata di distruzione portata nella capitale dal “blocco nero”, hanno spesso tralasciato le ragioni della protesta.
Il 6 novembre, presso la sede del Circolo Arci Lebowski, è stato proiettato il film-inchiesta “GGate”, di Franco Fracassi e Massimo Lauria, a ricordare un’altra pagina nera della storia della nostra nazione: quella dei pesanti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine durante il G8 del 2001 a Genova, quando i black-bloc, fino ad allora sostanzialmente sconosciuti, irrompono sulla scena italiana.
Dieci anni dopo, “Ggate” ricostruisce le terrificanti giornate di quel luglio genovese mediante i racconti di chi ha vissuto gli scontri: manifestanti, testimoni, giornalisti, avvocati, sindacati di polizia. I dimostranti denunciano la brutalità degli interventi delle forze dell’ordine, servitesi di lacrimogeni urticanti e manganelli per reprimere indiscriminatamente i manifestanti.
Da Piazza Dante a Piazza Paolo Da Novi, da Piazza Manin allo Stadio Carlini, i “cappucci neri” si insinuano silenziosamente fra la folla per poi rivoltarsi in maniera violenta e distruttiva. Agli slogan gridati dai dimostranti si sostituiscono le urla di paura di chi si trova schiacciato fra gli scontri. Allo sventolio innocuo delle bandiere subentrano gli incendi appiccati dai black-bloc.
I testimoni denunciano il cronico ritardo dell’intervento dei poliziotti, che permette ai violenti di agire indisturbati e di dileguarsi alla vista delle forze dell’ordine che, a quel punto, iniziano a picchiare anche chi non oppone alcun tipo di resistenza.
Carlo Giuliani, un simpatizzante del movimento no-global poco più che ventenne, viene colpito da una pallottola in Piazza Alimonda e perde la vita. A sparare è un carabiniere a bordo di una Land Rover Defender che pare bloccata da un cassonetto dell’immondizia che impedisce di fare manovra e di allontanarsi dalla stretta di manifestanti arrabbiati.
Mario Placanica si auto-accusa e dichiara di aver sparato per legittima difesa. Rimangono però dei dubbi sulla presenza di Placanica all’interno della camionetta, data l’impossibilità di identificarlo dalle foto scattate dall’esterno, e sui motivi per cui la Land Rover fosse in Piazza Alimonda.
Inspiegabili rimangono le ragioni dell’assalto della polizia alla scuola “Armando Diaz” la sera del 22 luglio. La “perquisizione”, durante la quale manifestanti e pacifisti, uomini e donne, vengono pestati senza alcun ritegno, è autorizzata perché si teme la presenza, all’interno della scuola, di simpatizzanti dei black-bloc in possesso di armi. Decine di manifestanti martoriati vengono prelevati dai funzionari del pronto soccorso e trasportati in barella, alcuni in gravi condizioni. Ma gli arrestati vengono tutti rilasciati poiché le accuse nei loro confronti cadono quasi subito.
Partendo da Seattle e passando da Praga e Nizza per giungere a Napoli e Goteborg, “Ggate” denuncia un meccanismo che si ripete: quello del pestaggio di manifestanti, violenti e non, da parte di “sovraeccitati” corpi di polizia che, nel caso di Genova, giungono sul luogo degli scontri mettendo in atto una marcia che richiama un vero assetto da guerra.
Sarebbe auspicabile, invece, che le forze dell’ordine si ergessero a tutori dei diritti dei cittadini, compreso quello di manifestare, e gestissero l’ordine pubblico intercettando preventivamente eventuali gruppi estremisti e violenti, vista la possibilità di sapere esattamente luogo e ora di arrivo di tutti gli aspiranti partecipanti a manifestazioni di una certa rilevanza politica e internazionale.
Solo una gestione preventiva dell’ordine pubblico, infatti, permetterebbe ai dimostranti di esporre le ragioni della protesta in maniera pacifica e costruttiva e impedirebbe a gruppi di violenti di alterare un corteo in una guerriglia pericolosa per tutti, manifestanti e forze dell’ordine.