DIBATTITO TRA IMMIGRATI, ETNIE E COMITATO DELLA PACE-foto
Il 20 dicembre, alle 17.15 la popolazione gioiese si è data appuntamento nel Chiostro del Comune per seguire “L’amicizia fra i popoli unisce, la guerra divide”, un incontro organizzato dal Comitato per la Pace – Gioia del Colle, dal presidio gioiese Libera, dall’Arci Lebowski assieme all’associazione di promozione sociale Etnie onlus che cura i servizi di accompagnamento, tutela e orientamento ai migranti accolti nell’Hotel WA.RO.SI nei pressi della stazione ferroviaria.
Variano i colori della pelle delle persone ed anche le loro lingue, unica è però l’emozione, frutto – a mio parere – del forte bisogno di esprimersi, di raccontarsi chiedendo aiuto a chi sta di fronte e da un’altra parte frutto del desiderio di ascoltare e della volontà di sostenere il sofferente.
Introduce al tema Roberta Blasi, membro del “Comitato della Pace”.
“La pace non si ottiene con la bandiera ma con l’impegno. Gioia è sempre stata considerata la città della pace nonostante la presenza di una base militare sul suo territorio. Gli aerei che passavano sopra le nostre teste per bombardare la Libia ci spezzavano i cuori”.
Maria Cristina De Carlo, referente dell’Arci, aggiunge: “Dobbiamo cambiare il nostro sistema e la nostra mentalità per capire persone costrette a lasciare la propria terra”.
Dichiara anche di essere delusa della scarsa partecipazione all’incontro da parte dei gioiesi, evidentemente poco attenti al problema.
Vinod Francesco Monopoli, dell’Associazione Etnie, afferma che “ci vuole un’accoglienza decente per questi trenta immigrati ospiti qui a Gioia del Colle che ha sempre dato l’esempio di solidarietà. Per questi immigrati purtroppo ci sarà una commissione che deciderà se lasciare un titolo di soggiorno per asilo politico. Nel caso contrario finiranno nella clandestinità. Siete tutti chiamati a firmare la richiesta di accordare un titolo di soggiorno proprio come è stato accordato ai tunisini.”
Aggiunge che uno dei problemi più seri, lasciato al buon cuore dei dottori, è quello dell’assistenza sanitaria, in quanto agli immigrati non spetta l’esenzione e di fatto non sono tutelati in alcun modo se si ammalano.
Di seguito sono intervenuti quattro immigrati del gruppo dei trenta africani ospiti nell’albergo WA.RO.SI. ascoltati con attenzione dai presenti, il cui messaggio tradotto da uno dei relatori ha consentito a tutti di comprendere i contenuti del loro intervento.
Ibrahim Omer, del Ciad, in lingua araba ha raccontato che “durante la guerra in Libia, gli stranieri erano i primi a morire. Qui in Italia ci sentivamo in rifugio. Ma l’accaduto di Firenze ci ha scosso. Oggi ho paura anche solo di passeggiare perché si vede che sono straniero”.
Demba M’Ballo del Senegal, in lingua francese ringrazia “il comune di Gioia del Colle e le associazioni. Comprendete tutti i nostri problemi. Abbiamo lasciato la Libia perché i fedeli di Gheddafi ci hanno costretto a scegliere tra combattere con loro o sbarcare verso l’Europa, ci hanno usato come degli oggetti. Non aiutarci vuol dire semplicemente morire. Abbiamo paura della Commissione, su cento di noi a tre soltanto sarà concesso un permesso di soggiorno. Dove possiamo andare senza documenti. Il Governo italiano si deve mettere d’accordo con gli altri Paesi europei perché l’Unione Europea ha deciso di condurre la guerra in Libia. Qua si assume allora la responsabilità”.
Pol del Ghana, in lingua inglese racconta: “Siamo venuti da un posto di guerra in un posto di pace. Facevo il cuoco presso una compagnia del regime Gheddafi. Ero con mia moglie che lavorava come assistente presso la famiglia di un medico. Non potevo andare in giro a cercarla a causa dei bombardamenti. Sono stato in un campo insieme ad altri stranieri, i fedeli di Gheddafi ci picchiavano nel caso rifiutavamo di prendere le armi. Avevo fatto quattro giorni in mare verso la Tunisia, poi verso la Libia, poi in Italia. Come sarà domani? Situazione complessa, il fatto di dover affrontare la Commissione. Ho vissuto per tanti anni in Libia e ho perso i contatti con la mia terra, non ci posso quindi tornare. Venite a trovarci dove stiamo, è un posto bello. Che Dio vi benedica. Aiutateci voi
popolo italiano che avete da sempre rifiutato i bombardamenti che hanno distrutto la Libia. La guerra è stata un complotto di Sarkusi”.
Mohamed Fuad Abdulla del Ghana, infine in lingua inglese ringrazia tutti “per essere venuti per ascoltare le nostre testimonianze. Grazie alle associazioni. Che Dio vi benedica. Avevamo una bella vita in Libia, siamo stati spinti a lasciare. Vogliamo recuperare, ma non è facile. Ciò che abbiamo vissuto, vorrei ricostruire una vita. Siamo incredibilmente sopravvissuti nell’impossibilità di tornare nella nostra terra di origine. Cosa faremo se la decisione della Commissione sarà negativa?”.
Il signor Giovanni Falcone, nel suo intervento ha proposto di scrivere una lettera al Presidente della Repubblica Italiana in cui chiedere di inserire questi immigrati come lavoratori nelle imprese italiane e francesi che saranno create per ricostruire la Libia.
Molto intenso è anche stato l’intervento di uno studente del liceo, Vito Alberto Lippolis, che ha sottolineato importanza dell’accoglienza e di come essere nella stessa scuola, allo stesso banco, consapevoli delle proprie diversità che comunque vanno accettate, dia senso al termine “Umanità”, unica razza cui tutti indistintamente apparteniamo.
(Scatti fotografici a cura della Redazione GioiaNet)