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UN’ASSEMBLEA DI ISTITUTO ALL’INSEGNA DELLA PACE

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COMITATO PER LA PACE GIOIA DEL COLLEQualche giorno prima di Natale, ho avuto la fortuna di assistere ad un incontro tenutosi presso il chiostro del Comune di Gioia del Colle, i cui protagonisti assoluti erano i ragazzi provenienti dalla Libia per i quali, da poco meno di un anno, è stato avviato un piano di accoglienza presso l’albergo della stazione ferroviaria. Ad organizzare e presentare questo evento, il Comitato per la Pace, i cui componenti proprio non sono potuti restare inermi di fronte al rumore assordante di decine e decine  di aerei che, partendo dalla base di cui il territorio è dotato, sfrecciavano sulle nostre teste fino in nord Africa.

arci-lebowski-gruppo-ppSubito pensai, però, che le loro storie fossero degne di un uditorio ben più ampio e che, probabilmente, fosse un peccato la scarsa presenza di ragazzi della mia età. Decisi, dunque, che avrei riproposto questi momenti nella mia scuola, il Liceo Classico “Publio Virgilio Marone”, nella prima occasione utile, rivelatasi l’assemblea d’Istituto del 24 gennaio scorso. Per farlo mi sono servito di Facebook e di qualche amico in comune con Maria Cristina De Carlo, referente dell’associazione culturale locale Arci Lebowski, che si è da subito dimostrata oltremodo disponibile a darmi una mano. Lo scarso tempo a disposizione ha imposto l’assenza di de-carlo-mariainterpreti, necessaria per coloro che parlano esclusivamente in lingua araba, sanabile invece per anglofoni e francofoni.

Dopo qualche preoccupante incertezza da parte della popolazione scolastica, l’aula magna si riempie sempre più fino ad ospitare il numero di persone che può, con mio immenso piacere. L’incontro, quindi, ha inizio con un intervento di Maria Cristina che, dopo aver brevemente presentato se stessa e gli eventi passati a chi ne fosse all’oscuro, passa la parola ad un primo immigrato, visibilmente in imbarazzo anche per via di una lingua che, come i suoi compagni, studia solo da poco tempo presso la scuola media “Losapio”, con l’aiuto di volenterosi insegnanti.

attolico liceoIl professor Attolico, dunque, chiede ai presenti di rompere il ghiaccio con un applauso; poi, in francese, chiede agli ospiti quali fossero le professioni svolte nel paese d’origine. Dalle timide risposte, emerge che più d’uno lavorava in Libia come cuoco e l’idea di un “pranzo etnico” è praticamente istantanea: una circostanza in cui stare insieme, prima che loro lascino il paese (cosa che accadrà verso la fine del prossimo mese), in cui due culture diverse possano incontrarsi e fondersi, ciascuno cucinando le proprie  tradizionali pietanze.

Tra i tentennamenti degli altri, è forte la testimonianza di Paul. Parla in Inglese, ed è per lui che mi improvviso un interprete. Inizialmente pensavo che, come un suo compagno, non volesse né potesse raccontare la propria storia. Così gli rivolgo qualche domanda generale sul paese da cui proviene, quale sia il ruolo della donna. Lui prontamente mi risponde che la immigrati-libia2donna è alla pari dell’uomo, ma subito avverte l’esigenza di operare una distinzione tra il proprio paese di origine e la Libia. In Libia ci è dovuto andare, perché la situazione politica ed economica del posto in cui è nato lo imponeva. Lavorava come bodyguard, aveva una vita, ma ha dovuto ricostruirsela, e con questa una casa. Ci è riuscito, fino a che la guerra in Libia non è esplosa.

A quel punto, chiunque veniva posto dinanzi ad una scelta: imbracciare le armi o morire. Qualora si scegliesse la strada della non violenza, la chance era unica: lasciare il paese, per salvaguardare la propria vita. E non di sponte propria, andando ovunque si volesse, ma forzatamente: posti sulle barche, non sapevano nemmeno dove e se mai ne sarebbero scesi. Paul va avanti, parla del 102 5704razzismo nei confronti della gente di colore, lì in Libia. Poi distingue “Tripoli people” da “Bengasi people”, i seguaci di Gheddafi dai fautori di ribellioni contro il suo regime.

Tra i presenti, non ce n’è uno che non sia rapito dalla sua narrazione, o che non sia profondamente toccato da quello che reputo essere il momento più commovente dell’incontro. Sempre il professor Attolico mi chiede di chiedergli se abbia mai assistito o partecipato in prima persona a scene di violenza. Gli occhi di Paul si fanno lucidi e lo sguardo si volge al pavimento. Con voce stranamente integra, risponde dicendo di aver visto uccidere suo cugino, al quale era molto legato, reo di essersi rifiutato di far guerra. Il silenzio si fa religioso, ed io davvero non so come comportarmi, cosa dirgli. Lui se ne rende immigrati-libia3conto, e continua a parlare, con una forza che dà forza. Ringrazia i presenti, “che Dio vi benedica!” dice. Qui si trova bene, ma non sarebbe mai venuto in Italia se fosse dipeso da lui. Ora che è qui, però, e che qui è diventato padre da soli due mesi, vorrebbe restarci e lavorare. Non può lavorare, però, se non ha i documenti di riconoscimento.

A questo punto, interviene il suo amico. Ci ringrazia per l’aiuto, ma vorrebbe che facessimo ancora qualcosa: aiutarli a superare i problemi burocratici che il paese impone. Il Comitato per la pace ha già inviato una lettera al Presidente Napolitano, chiedendo una soluzione per loro. Una soluzione che meritano, e che speriamo arrivi presto.

(foto repertorio)

 

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