TEATRALMENTE CONVINCE “ESTEMPORANEAMENTE”
Saranno i 25 anni di prove e rappresentazioni teatrali, sarà che il 13 porta bene, sarà la magia del luogo (l’arco Paradiso e l’affaccio da casa Milano – Gatti), sta di fatto che Teatralmente Gioia nell’arco di pochissimi giorni, su suggerimento di Lucio Romano che di fiducia ne ripone tanta nella buona volontà delle associazioni, è riuscita a realizzare un recital di poesia, musica e danza piacevolissimo nella sua semplicità: “Al chiarore del risveglio”.
L’idea dei due registi, Augusto Angelillo e Giustina Lozito, si è rivelata vincente: 16 poesie diverse per latitudine, tempo e generi, fattor comune, non sempre dichiarato, talvolta volutamente disatteso, la primavera.
Dalla filastrocca di Rodari recitata a tre voci da Vito Osvaldo (impostazione perfetta, come sempre, ed ottima interpretazione), Ilaria Iurilli (fresca come una goccia di rugiada) e Marco Addati (sempre più sicuro e convincente), a “Portami il tramonto“ di Emily Dickinson, dai Canti Navajo, e “dai verdi fuochi accesi… e ghirlande di fumo” in “Incendio di primavera” di Lawrence, a “Le muse inquietanti” di Silvia Plath, da “L’uccello prigioniero” di Tagore ai nostri poeti, Filippo Paradiso e Olimpia Riccio.
Filippo in “False indicazioni” ricorda le ore inopportune, i luoghi improponibili e i giorni lasciati consumare, in “Sono azioni le parole” ascolta “…il respiro delle pietre (che) sparge il polline di solitari fiori”, in “Luce verde acqua” rivisita posti dove non fu mai, scoprendo che “…ben poca cosa è ciò che è, il resto, quasi tutto, ciò che non è, né fu mai, né mai sarà, è infinito”.
Olimpia inneggia alla vita in “Poesia d’amore per Gaia”, mentre in essa sprofonda “leggera, fluttuante, arresa”, per divenire “cuore nel cuore di Gaia” e rivivere nella natura, la stessa che diviene gentilezza, complicità, tenerezza in “C’è una terra”.
Decisamente criptica, per lo meno nel contesto, la fiaba indiana “La lepre e il leone”, in cui riecheggiano memorie di Esopo… Il prepotente fu causa del suo mal, perì per arroganza e liberò la foresta della sua ingombrante presenza… Da decodificare!
Ad intervallare le prime due “sestine” poetiche la danza di Irene Galatola, sempre più brava anche senza tappetino e quindi a rischio di caduta e distorsioni, ad accompagnarla con improvvisazioni ideate per l’occasione ed alla velocità della luce, Marco e Ilaria Stoppini, rispettivamente alla chitarra ed al flauto traverso.
Molto professionale la presentazione di Annamaria D’Ettorre, né frizzi, né lazzi, né simpatiche impertinenze… ma il luccichio nello sguardo ne tradiva la tentazione!
Ottimo il coordinamento tecnico di Marilù Vittore e Mattia Angelillo, nessun “disturbo” di trasmissione, né fastidiosi ronzii.