“BILL CARROTHERS TRIO”, PERFORMANCE TRASCINANTE
Cinque minuti dedicati al sound check, venti brani provati in meno di mezzora e tre ore di ottima musica quasi ininterrotta, questi in “numeri” del “Bill Carrothers Trio” in concerto domenica sera al Uèffilo.
Non a caso una delle migliori performance in rassegna, che Carrothers dedica al mitico trombettista Clifford Brown, detto Brownie.
Un tributo offerto da un pianista raffinato e geniale, in grado di contaminare il lirismo acquisito in anni di studio con i colori più profondi del jazz in un amalgama “swing” che tutto rende possibile.
Nell’esecuzione, pur rispettando e a tratti esaltando le strutture e le linee melodiche originali di Brown, Carrothers intraprende un percorso innovativo con sicurezza, creatività e brio interpretativo, trascinando con sé il contrabbassista compositore Drew Gress (classe 1959) – tra le sue più recenti frequentazioni Tim Berne e Uri Caine – e il batterista quarantaseienne Bill Stewart (sottratto per l’occasione a John Scofield e particolarmente apprezzato da Pat Metheny, Michael Brecker, Lee Konitz e Joe Lovano).
Nessuna tromba né alcun “fiato” per rievocare la magia delle musiche di Brown e dei brani a lui dedicati da altri musicisti (“I remember Clifford” di Benny Golson), una scelta decisamente insolita ma anche coraggiosa, da vero “fuoriclasse”.
Molti dei brani sono stati eseguiti ad “occhi chiusi”, senza spartito, in totale, ispirata full immersion nell’incanto del jazz. Tranne che per l’attacco iniziale, nessun “contatto” visivo tra i musicisti, in totale “empatia” melodica. Anche gli assolo sembrano sgorgare d’istinto, in circoncentriche onde “anomale” che si staccano, danzano, si rifrangono per poi ritrovarsi “uncinate” in una nota apparentemente casuale, al pari di una mano tesa cui aggrapparsi per riprendere vigore.
Altrettanto spontanei, spesso nel bel mezzo di un brano esplodono gli applausi di un pubblico che mostra non solo di apprezzare ma anche di “godere” di tanta armonia, desideroso di farne parte sia pur con uno strumento impropriamente… proprio!
Partecipazione e condivisione sono totali. Bill Carrothers – contagiato dall’entusiasmo dei presenti – senza mai staccarsi dai tasti si lancia nell’audace presentazione di alcuni brani (purtroppo senza “sottotitolo”). Nato a Minneapolis nel 1964, a 15 anni è già tra i grandi, tanto da essere definito “enfant prodige”. Di lui sul New York Times si è scritto che “è uno di quei musicisti per i quali si può spendere l’aggettivo “fenomenale” senza paura di trovarsi contestati”.
Collabora, tra i tanti, con icone del jazz quali Scott Colley, Buddy DeFranco, Dave Douglas, Curtis Fuller, Eric Gravatt e Benny Wallace.
“La capacità di questo trio – afferma Marco Losavio, direttore artistico di Uèffilo e gestore di Jazzitalia – è senza dubbio la gestione della dinamica. Carrothers è in grado di controllare l’intensità di ogni passaggio musicale attraverso il dosaggio del numero delle note, le alterazioni degli accordi, le sincopi ritmiche, il volume… Dress Gress al contrabbasso e Bill Stewart alla batteria si sono rivelati molto reattivi e sincronizzati. Non c’è stata alcuna sbavatura, ogni cenno diventava immediatamente idea comune sviluppata congiuntamente e resa al meglio. La delicatezza di ballad come Joy Spring, Time, le swinganti “Junior’s Arrival” dedicata da Brown al figlio, Gertrude’s Bounce, l’eccentricità di Jordu, il bebop più sfrenato di Powell’s Prances hanno rivelato un pianista sorprendente, dotato di infiniti colori che ha portato ancora una volta, al Ueffilo Jazz Club, un clima newyorkese.”
Per Filippo Cazzolla l’ennesima conferma di esser sulla buona strada e tante, tantissime idee per promuovere la cultura del jazz sul territorio.
Prossimo appuntamento il 24 febbraio con Roberto Re David in “DottorBlue Art Project” (da non perdere), ospite d’onore il 22 marzo il “Kenny Garret 5et”.