MARIACHIARA LOBEFARO CRITICA WOODY ALLEN. PREMIATA
E’ notizia di questi giorni di un ulteriore riconoscimento ottenuto dalla studentessa liceale Mariachiara Lobefaro, già finalista del concorso nazionale “Scrivo anch’io” (MARIACHIARA LOBEFARO FINALISTA DI SCRIVOANCHIO), il cui “lavoro” è stato segnalato da Repubblica@scuola quale miglior articolo di critica cinematografica sull’ultimo film di Woody Allen. Un pezzo giornalistico molto apprezzato, dallo stile ritenuto “ironico e colto, molto anglosassone, alla Nick Hornby”.
Mariachiara vuole diventare un critico cinematografico e, a giudicare dai primi risultati, gli inizi sono molto promettenti.
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WOODY E I SUOI FANTASMI NELLA CITTÁ ETERNA
“Nero Fiddled”. Ma l’ultimo film di Woody Allen non si chiama “To Rome with love” ? Ah, già, da noi l’hanno tradotto in inglese – molto logico, a ben vedere.
Ricominciamo dunque: “A Roma con amore”. Non so come la pensiate voi, ma trovo che questo titolo abbia il dono della sintesi: incoerente ed anche un po’ ruffiano, esattamente al pari della pellicola stessa. Che, diciamocelo, è forse tra le peggiori in assoluto del regista statunitense e nettamente inferiore al precedente (ed ispiratissimo) “Midnight in Paris”.
“To Rome with Love” si trascina stancamente sin dal principio, limitandosi a sfilacciare in una sequela improbabile di siparietti tragicomici. E seguita a girare intorno a se stesso precipitando verso la fine – la quale, in mancanza di un vero “plot”, non è altro che una conclusione pasticciata, arrabattata senza ritegno. Gli attori se la cavicchiano con mestiere, chi più chi meno: ma la buona prova della Mastronardi (la cui vista di solito mi provoca una subitaneo orticaria) è scompensata da un Benigni ripetitivo ed a briglia corta. Cos’altro rimane? Qualche battuta caustica e un paio di situazioni divertenti, picchi felici che poi atterrano in modo rovinoso nella monotonia di un film senza film. Certo, volendo mettersi d’impegno si individua qualche spunto di riflessione: l’importanza di fama e soldi in un mondo ipocrita, la predilezione per gli ambienti borghesi, il cinismo affettivo; eppure, persiste l’impressione che tutto sia stato già raccontato, e con più efficacia, in altra sede.
Detto ciò, non si può negare che Allen sia stato onesto: la paura della morte lo perseguita, e lui mette in scena il suo terrore con consapevolezza. Torna davanti alla macchina da presa non per interpretare un personaggio, ma se stesso; e non cerca neppure di allontanare l’ansia da “horror mortis”, ma si prende in giro con spietato realismo. Il produttore discografico che non si rassegna alla pensione è il suo alter ego: così Allen si mette a nudo nelle debolezze del regista che gira film a ritmi forsennati, affrettandosi a lasciare uno o più segni prima che cali il sipario.
Ma per quanta pietà possa ispirarci il tramonto di un grande, il film rimane un bicchiere d’acqua calda quando si ha sete: insapore, incolore, inodore.
(di Mariachiara Lobefaro, II B Liceo Classico “P. Virgilio Marone”)