FEDERICO PASTORE AFFASCINA CON NIKOLAJ RERICH-foto
Il dott. Federico Pastore, gioiese, sabato 3 novembre 2012, presso la sede della sezione C.A.I. di Gioia del Colle, ha relazionato sulla vita e le opere di un grande personaggio di livello internazionale, Nikolaj K. Rerich (pittore, poeta, archeologo, scenografo, esploratore e diplomatico russo).
Una conferenza, presentata da Diego Eramo, che ha letteralmente affascinato il numeroso pubblico presente, grazie anche alla proiezione in sala di fotografie delle opere prodotte dal grande artista russo, tratte dal libro “In Excelsis” (curato da Anna K. Valerio e C. Vivarelli, per i tipi del Cavallo Alato-Edizioni di Ar) distribuito a fine incontro.
Una conferenza lungamente applaudita anche dal Presidente del Consiglio della Provincia di Bari Piero Longo, chiusa con la degustazione dei prodotti tipici locali.
Segue la storia dell’artista russo curata dallo stesso Federico Pastore che ringraziamo, unitamente a Mario Di Giuseppe, autore degli scatti fotografici, per aver collaborato con la nostra Redazione.
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Nikolaj K. Rerich
Formatosi negli studi pittorici della Pietroburgo del Simbolismo a cavallo tra XIX e XX secolo, Nikolaj Rerich fu l’iconografo di un Oriente che l’immaginario europeo conosce assai poco, forse ancora meno dei deserti dell’Arabia o dei palazzi della Cina imperiale: quello del grande spazio eurasiatico che lega la Russia e l’Asia centrale in un continuum culturale dimenticato e volentieri taciuto.
Fin dai primi anni di attività artistica, il percorso di Rerich aveva già imboccato una via personale e indipendente dai capricci occidentaleggianti del suo secolo. I suoi primi quadri raffiguravano mitologie ed eroi di una Russia pagana e sciamanica, che egli conobbe nei suoi viaggi siberiani, già volti all’approfondimento di quella conoscenza dell’ Asia cercata nei dipinti giovanili. In particolare l’incontro con la spiritualità orientale fu per Rerich ispiratore di una nuova fase della sua concezione del mondo e dell’arte. Patriota dichiarato, accolse con sfavore lo scoppio della guerra e con ripulsa l’avvento del regime sovietico, prendendo alla fine nel 1918 la scelta di abbandonare insieme alla famiglia la Russia comunista.
La vita dei Rerich non ricorda quella della gran parte degli emigrati russi, spesso alle prese con difficoltà finanziarie e con la nostalgia della patria lontana. Già conosciuto all’estero come artista e con buoni contatti personali, Rerich potè viaggiare un po’ ovunque riuscendo a esporre le sue opere e le sue idee a un pubblico comprensivo e interessato, che spesso non lesina in finanziamenti materiali per i suoi progetti.
Finalmente negli Stati Uniti (dove fonderà un Museo Rerich oggi ancora in attività) incontra degli americani abbienti che lo sostengono nella realizzazione di un grande sogno: la partenza di una spedizione naturalistica nell’Asia centrale, dall’India alla Siberia, alla Mongolia al Tibet. Il viaggio ha inizio nel 1924 e prosegue fino al 1928.
Il contatto diretto con le autorità spirituali lamaiste lo sosterrà in un inaspettato ma motivato riavvicinamento al governo sovietico, di cui incontrerà nel 1926 a Mosca alcuni rappresentanti che gli concederanno il permesso di viaggiare lungo la Transiberiana fino in Mongolia, e da lì giù attraverso la Cina fino alla meta finale del suo grande viaggio, il Tibet e la sua capitale Lhasa. Purtroppo la visita al Tetto del Mondo verrà resa impossibile dalle autorità coloniali inglesi nell’India Britannica, convinte che Rerich fosse una spia russa.
La spedizione subirà un rallentamento fatale e fu finalmente interrotta senza aver raggiunto il suo obiettivo geografico, ma sarà per Rerich il teatro di una maturazione spirituale che noi possiamo ora osservare nei suoi dipinti himalaiani, che lui chiamerà “le pietre miliari” del suo avvicinarsi al Divino.
Nei primi anni Trenta Rerich troverà ulteriori finanziamenti per le sue attività, non meno che sospetto presso tutti i governi coinvolti negli intrighi geopolitici di quello che Kipling chiamò “il Grande Gioco”: nessuno più si fiderà di un viaggiatore che vantava amicizie e conoscenze in paesi capitalisti e comunisti o comunque divisi da velleità espansionistiche. L’ultima spedizione tentata nel ’34-’35 in Manciuria si concluderà infatti in un fallimento completo: l’ostilità giapponese, il taglio dei fondi americani, le accuse di spionaggio rivoltegli un po’ da tutti constrinsero a un’interruzione anticipata del viaggio.
Gli ultimi anni – l’artista russo morirà ai piedi dell’Himalaya nel 1947 – saranno dedicati ad attività filantropiche e al proseguimento del suo cammino spirituale, così magistralmente trasfigurato nei suoi dipinti montani.
Per quanto complesse e sorprendenti siano state le vicende della vita pubblica di Rerich la sua figura ha acquistato fama soprattutto dal punto di vista artistico. La sua vastissima produzione pittorica (oltre 7000 realizzazioni) emana un fascino particolarissimo, cui non è facile resistere. Mitofanie, paesaggi russi, tibetani, mongoli che colpiscono per il loro essere rarefatti ed allucinati, austeri e intensi. Elemìre Zolla ebbe a dire “Gli effetti di alta montagna sono ottenuti mercè l’uso di colori puri, ai quali non siamo abituati. La predilezione per i colori limpidi e definiti sorprende e spaesa” – parole suggestive che però non rendono appieno l’arte di Rerich quale interpretazione spirituale della montagna, della, per così dire – “metafisica della verticalità”.
Le tele di Nicolaj Rerich sono un supporto autentico alla riflessioni su di sé, sia per chi ha bene in mente quali dimensioni dello spirito possa evocare una scalata sui monti, sia per chi, anche nella quiete della propria casa, sappia viaggiare col pensiero su strade non più fisiche.
Federico Pastore