GABER RIVIVE CON MAURIZIO VACCA E CLAUDIO PINTO
A chiudere la rassegna estiva di “Restate, cose d’estate” non potevano che essere due mattatori d’eccezione, Maurizio Vacca e Claudio Pinto di TerrAmare.
“Due vagabondi en attendant G.”, una piece di altissimo livello, resa ancor più coinvolgente dall’aver evocato Giorgio Gaber senza scalfirne la grandezza, lasciando che la sua sapiente ed ingenua ironia aleggiasse tra battute, grasse risate, silenzi, attese…
Il suo canto era sotteso nelle corde del pubblico e tra le righe dei testi rivisitati e resi attuali da Maurizio, eccezionale interprete e regista dello spettacolo ospitato nell’affollatissimo chiostro di Palazzo San Domenico il 6 settembre.
A sostenerlo con pari bravura, sempre perfettamente “nella parte”, un grande Claudio Pinto che non ha davvero sbagliato nulla.
I costumi costruiti ad arte da Vacca, rimandano a cistercensi arene nelle quali il sorriso disegnato sul volto non raggiunge mai lo sguardo.
Le musiche accompagnano le parole non cantate in “Destra e sinistra”, mentre gli attori offrono al pubblico l’ebbrezza di un cocktail di nostalgia e ricordi, ghiacciato di indignata amarezza.
Ben poco è cambiato in questi anni. Passato e presente continuano a confondersi, rimestati al pari di carte che Gaber – redivivo, profetico prestigiatore – ridistribuisce tra il suo pubblico a dieci anni dalla sua scomparsa. La speranza che nel futuro i problemi endemici della società italiana trovino soluzione, è sempre più una chimera.
Tante ed importanti le riflessioni suggerite dai temi trattati: politica, società, donne, ideologie che culminano in “Mi fa male il mondo”.
Ed è con petroliniana, disillusa allegria che si stempera la lunga risata in cui riecheggiano note di pianto e cordoglio per una nazione che non sa riscattare se stessa dalle aberrazioni della malpolitica.
Il pensiero gaberiano si tinge di universalità in “Sogno di due tempi”, rivive anche nell’inazione beckettiana dell’attesa del signor G., cui lo spettacolo con raffinata sagacia si ispira, un “pretesto” sospeso in un’attesa senza tempo, in uno spazio senza confini.
In questo “non luogo” si riequilibrano esuberanza e malinconia, sarcasmo ed ingenuo stupore. Qui, all’ombra di Godot, Gaber si manifesta in tutto il suo disincanto, ammiccando a due vagabondi che con incursioni nei suoi scritti lo hanno ricondotto, per una sera, in quell’Italia cialtrona, irriverente e tanto amata.
Si ringrazia Mario Di Giuseppe per il contributo fotografico.