ANSALDO. CONVERTIRE LA PRODUZIONE PER USCIRE DA CRISI
Il lavoro è un diritto, non un privilegio. Le leggi di mercato hanno trasformato quel che un tempo era strumento di riscatto sociale, in merce di ricatto sociale e la Termosud – Ansaldo, insieme all’Ilva, ne potrebbe essere un triste esempio.
Un metalmeccanico “fiore all’occhiello” che a metà degli anni ’80 iniziò ad appassire a causa della cassa integrazione e di politiche industriali non sempre oculate. Da luogo di eccellenza cui si accedeva per meriti, divenne ricettacolo di raccomandazioni, di politiche clientelari… il resto è cronaca di una morte annunciata.
Quale sarà il destino di queste famiglie, soprattutto se non sorrette dal welfare familiare? Si andrà a vivere sotto i ponti della Termosud-Ansaldo? In fila alle Caritas per gli alimenti? A batter cassa ai Servizi sociali e i pugni agli uffici di Collocamento? Scenari apocalittici incombono come nuvole gravide di tempesta. La rabbia, la speranza, la fiducia nelle istituzioni e nei politici, nella solidarietà dell’intera città, non riescono a diradarle.
Cosa si potrebbe e sarebbe potuto e dovuto fare per evitare che oggi 197 famiglie, insieme a quelle dei lavoratori nell’indotto, rischino l’indigenza e si registri un’impennata del numero dei nuovi poveri di Gioia?
Puntare sul Dismo che l’Itea ha continuato a perfezionare con sperimentazioni di cui in pochi, anche tra gli addetti ai lavori, sono al corrente, quasi si trattasse di segreto industriale? Nuove tecnologie che contrastano con il sano e saggio riciclo su cui tante belle parole e progetti si spendono in zona Spes, dei cui effetti collaterali e di impatto ambientale ben poco si parla?
In momenti di tensioni sociali e criticità, le devastanti politiche clientelari, quelle che più arrecano danni al territorio e alle relazioni sociali, sono le prime ad attecchire.
Ma c’è un’altra scelta? Sì, e la promuoviamo da queste pagine, dandole anche un nome traslato da un’altra realtà su cui 34 amministrazioni stanno investendo e non poco con successo, ovvero “Cuore della Puglia”.
E’ una utopia l’idea di convertire lo stabilimento da metalmeccanico a manifatturiero ed alimentare attraverso una cordata di imprenditori pugliesi del settore agro alimentare, sostenuti per davvero con sgravi fiscali importanti e prestiti a fondo perduto? No, non una utopia se sorretta da una politica mirata alla salvaguardia del territorio e della sua vocazione, la stessa che promuoviamo altrove e mortifichiamo sul posto, lasciando soli i coraggiosi imprenditori che devono esportare “il cuore” dei loro prodotti all’estero perchè venga apprezzato.
“Cuore di Gioia”, “Cuori di Gioia” perchè è nella pluralità che si cresce… una sfida importante, non priva di difficoltà – gli ostacoli saranno tanti – ma non impossibile e soprattutto l’unica scelta possibile per garantire un futuro a queste ed altre famiglie.
Una sfida lanciata alla politica, quella “pulita” che non finisce indagata o arrestata e che muove i suoi passi insieme alle sigle sindacali e all’azienda ai tavoli di concertazione, un appello ai governanti illuminati, che amano la loro terra e non vogliono vederla sporcata da nanopolveri e ceneri per quanto sottili pur sempre “velenose” e pericolose all’interno delle catene alimentari.
Il nostro è un indotto di eccellenze agroalimentari che non potrebbero non essere penalizzate da impianti come quello di Husavik, in Islanda, dove di terre fertili e ferrose come le nostre non ve n’è neanche un granello.
Difendiamo la nostra identità e ritroviamo nelle radici quella sicurezza che le chimere del triangolo industriale degli anni ’60 hanno azzerato. Con il cuore e unendo i cuori… possiamo farcela! [foto Alessandro Capurso]