Coronavirus. Non solo selfie. Ma i politici quando “contribuiranno”?
Mai come in queste settimane le iniziative volte ad offrire solidarietà ai cittadini in difficoltà e non solo, fioriscono e proliferano. A testimoniarlo gli immancabili selfie o foto di “rappresentanza” su cui immancabilmente si accendono polemiche, non fosse altro perché i protagonisti sono spesso personalità politiche o vicine alla politica e quindi “criticabili” a prescindere.
Si dovrebbe donare in silenzio con discrezione, o in modo plateale, cercando di dare l’esempio, stimolando l’emulazione? Sulla questione i pareri sono discordi e le due tesi, a loro modo, in egual misura condivisibili.
Che ognuno quindi agisca secondo il proprio “sentire”, nella consapevolezza che non tutti apprezzeranno i selfie o il silenzio, ritenendo i primi strumentali, faziosi, demagogici e in alcuni casi decisamente inappropriati, così come la discrezione maschera il timore di mettersi in gioco e metterci… la faccia, rischiando che poi a chieder la questua si creino vere e proprie folle o peggio, temendo di esporsi, di mostrarsi, quasi che fosse un peccato mortale di vanità. Meglio quindi puntare all’obiettivo: aiutare il prossimo, senza troppi retro pensieri.
Ma in quale modo si aiuta concretamente chi non può più sostenersi con il proprio lavoro dignitosamente? Non di solo pane (pasta, latte, caffè ed altro…) si vive in attesa dei sussidi del governo che a stento copriranno la spesa di fitti, utenze e del minimo per vivere. Certo, se liberi professionisti quali avvocati, imprenditori, commercialisti e persino notai evitassero di spacciarsi per poveri cristi, potendo permettersi Suv e beni di lusso, qualcosa resterebbe da distribuire a piccoli commercianti, manovali e artigiani.
Un gesto di reale solidarietà, a nostro avviso, sarebbe rinunciare a benefit superflui, ad esempio non far pagare il fitto all’esercente che ha dovuto rinunciare a lavorare per decreto, destinare le indennità politiche di cariche assessorili, sindacali o dei presidenti di consiglio, ad un fondo per buoni spesa da lasciar gestire ai servizi sociali.
Che sia chiaro… non si sta affermando che i politici non lavorino e quindi che sia denaro non “guadagnato”, ma che sarebbe eticamente più corretto – se hanno di che sostenersi – che in questo frangente lo restituiscano alla comunità. Non sarebbe davvero un bellissimo gesto se chi ha uno stipendio o rendite patrimoniali rinunciasse a favore dei propri concittadini al denaro rinveniente dalla propria carica politica, invece di presidiare carrelli all’uscita dei supermercati dando l’impressione di volersi mettere in mostra, più che al servizio? Una denuncia nel metodo, non nel merito… E se anche a livello regionale e nazionale chi ci governa destinasse almeno parte degli stipendi “politici”, senza timore di esser confusi con i grillini, almeno per i mesi in cui tutti sono in maggior sofferenza, tramutando in buoni spesa aggiuntivi queste cifre?
Oseremmo addirittura, con il rischio di essere impopolari anche se sinceri, proporre che ogni dipendente pubblico, in questo momento “graziato” in didattica a distanza o smart-working, lasci anche solo 5 euro al mese – il classico caffè e cornetto o pizza (margherita) – per aiutare non i professionisti, avvocati, commercialisti, notai … ma il marocchino che non vende più orecchini e ha otto figli da sfamare, il barbiere che viveva alla giornata, quel padre di famiglia che si arrabattava col lavoro nero, non assicurato e quindi senza nessuna tutela.
Si raccolgono beni alimentari? Benissimo, ci sta pure che il selfista di turno si immortali mentre mette nel carrello lo zucchero, ma oltre a consegnare i pacchi alimentari ai richiedenti già conosciuti e segnalati, perché non fare una ricognizione tra coloro che si vergognano di venire a ritirarli e portarli a domicilio? Il paese non è così grande da non censire anche solo guardando i volti e le residenze di quei cittadini cui ci siamo rivolti per far riparare le scarpe, o per comprare dalle loro bancarelle e negozi mercanzia a buon prezzo.
Allora sì che si potrebbe parlare di Solidarietà vera, con la S maiuscola, dimostrando con i fatti e non solo a parole, che oltre a chiedere siamo un popolo che sa anche dare. [tratto da “La voce del paese” n. 16 del 25.04.2020]