EMERGENCY, INCONTRO PER RIPUDIARE LA GUERRA
Ci sono Paesi in cui la guerra miete inesorabile migliaia di vittime innocenti. Ci sono persone che, mosse dall’ideale di una società in cui la pace torni a trionfare, si impegnano per scongiurare questo brutale sacrificio di uomini, soccorrendo gratuitamente i feriti.
Dal 1994, spiega il dott. Carmine Simeone durante l’appuntamento dello scorso 4 marzo al Liceo Classico, Emergency offre assistenza medico chirurgica alle vittime della guerra in Afghanistan, Cambogia, Iraq, Repubblica Centro-Africana, Sierra Leone e Sudan.
Questa organizzazione non governativa, da poco presente anche a Gioia del Colle, nasce con un triplice intento: portare assistenza e cure mediche nelle zone di guerra, costruire efficienti strutture ospedaliere e, infine, ambire a “diventare perfettamente inutile”. Perché “la pace è un mestiere che dà i calli alle mani”, sostiene il dott. Simeone, “non uno slogan”.
Per sopprimere le ostilità, è indispensabile “affermare fortemente l’eguaglianza fra gli uomini”. Occorre affrontare la devastazione e la morte arrecate dalla guerra e sconfiggerle diffondendo una cultura di solidarietà e rispetto dei diritti umani.
Il dott. Angelo Milano, volontario di Emergency, ha ripercorso con i presenti le tappe del suo lavoro a Kabul e nell’ospedale del Panjshr, dove ha affiancato Gino Strada, fondatore dell’onlus. Al seguito, la proiezione del film “Domani torno a casa”, diretto da Paolo Santolini e Fabrizio Lazzaretti, documenta l’attività medica ed umanitaria svolta da Emergency in Paesi devastati dalla guerra e dalla povertà, come l’Afghanistan e il Sudan.
A Kabul, Murtaza è un bambino di 7 anni che viene ricoverato con urgenza perché una mina con cui giocava è esplosa e gli ha deturpato una mano. Yagoub è un ragazzino di 15 anni ricoverato presso il centro cardiologico di Karthoum per una malformazione cardiaca. Il film narra, tramite le storie dei due protagonisti, la degenza nelle strutture ospedaliere di Emergency, dal ricovero al tanto atteso ritorno a casa.
Ma, soprattutto, racconta di Paesi in cui all’angoscia si oppone la fede. Riferisce di luoghi in cui i bambini giocano alla guerra, armeggiano con mine antiuomo che, puntualmente, esplodono mutilando loro un arto, e conversano disinvolti su come, ad ognuno di loro, sia capitato di ritrovarsi senza una mano.