LEOGRANDE: “LA PUGLIA, REGIONE DI OMICIDI CRONICI”
Ancora un confronto, per gli studenti della scuola media E. Carano, con il tema “Legalità e mondo del lavoro”. Dopo l’incontro con il Console di Polonia in Puglia Domenico Centrone, tenutosi il 27 settembre scorso, la discussione sul fenomeno del caporalato nelle terre pugliesi prosegue il 30 settembre con Alessandro Leogrande, giornalista di origini tarantine, che ha presentato il suo romanzo-inchiesta “Uomini e Caporali”.
Introdotto dal Preside Giovanni Stano, Leogrande racconta le fatiche del lavoro nei campi, muovendosi tra un passato in cui era un “popolo di formiche”, per dirla con Tommaso Fiore, a falciare il grano, non esistendo il mietitrebbia, e un presente più avanzato tecnologicamente, ma in cui tornano drammaticamente a riprodursi e a inasprirsi determinate condizioni di sfruttamento della manodopera agricola.
Una figura che è sempre risultata determinante nell’organizzazione dei braccianti è quella del caporale. Un uomo che selezionava coloro che avrebbero potuto sostenere diverse ore di lavoro nelle campagne, esposti al sole e senza cibo, né acqua. Li sceglieva tra la folla di persone, povere e disposte a tutto pur di guadagnare pochi soldi, che ogni mattina, all’alba, si radunava nelle piazze dei paesi.
Oggi, alla raccolta di pomodori e di altri frutti della terra si dedicano stranieri ridotti in forme di schiavitù che, purtroppo, non appartengono solo al passato. Emblematici delle ingiustizie di cui la manodopera agricola è vittima sono due casi citati da Leogrande nel suo libro. Uno appartenente al passato e uno al presente.
Il più recente è quello di tre ventenni polacchi sedotti da un annuncio che prometteva una paga di sei euro l’ora per la raccolta di pomodori ad Ortanova. Giunti in Puglia con l’ambizione di racimolare i soldi necessari per pagarsi gli studi universitari, i tre sono stati trasferiti in una tendopoli insieme ad altre duecento persone, dove hanno vissuto sotto il serrato controllo di uomini armati, lavorando decine di ore al dì per una già misera paga da cui i caporali sottraevano anche le spese per il trasporto nei campi e per l’alloggio nella baracca.
Riusciti a fuggire dalle grinfie dei criminali, i tre hanno denunciato l’episodio alla Procura di Bari, da cui è partita un’indagine che ha portato dietro le sbarre diversi caporali. Il secondo episodio è quella della strage di Marzagaglia, avvenuta proprio a Gioia del Colle nel 1920, quando alcuni proprietari terrieri e mezzadri spararono sui lavoratori inermi, uccidendone sei, perché chiedevano un giusto compenso per il duro lavoro.
Con il racconto di questi due episodi, Leogrande costruisce un ponte tra un passato e un presente spaventosamente simili nella violenza che li connota, ad indicare che il lavoro nei campi non è scomparso e, insieme ad esso, persistono forme di sfruttamento che si tende ad occultare, ma che tornano sistematicamente a macchiare di sangue la storia della Puglia, definita dalla stampa di inizio Novecento “la regione degli omicidi cronici”.