MARIA CARMELA BONELLI NARRA “LE DONNE DEL SUD”
Un filo rosa percorre il Risorgimento italiano, periodo storico durante il quale la nostra nazione ha acquisito l’identità unitaria di cui, quest’anno, si celebra il centocinquantenario. Sabato, 12 novembre, presso la sede del “Donna Club”, in Via E. Zola, si è tenuto il meeting “Donne d’Italia: le madri e le educatrici”, teso a rendere giustizia a quelle figure femminili che, pur avendo contribuito a scrivere la storia della nostra nazione, sono spesso rimaste invisibili agli occhi degli storici.
La relatrice Maria Carmela Bonelli, presentata dalla vice-presidente Maria Teresa Nico Perrone come pubblicista e autrice di diversi libri di carattere storico e saggistico, rievoca non le già note personalità-simbolo del Risorgimento, largamente osannate in diverse occasioni di festeggiamento per il centocinquantesimo in tutta Italia, ma le storie perlopiù taciute di donne del popolo e non che, sfidando un sistema misogino e ingiusto, hanno contribuito all’emancipazione femminile, sociale ed economica.
Ripercorre quindi le battaglie che hanno combattuto per conquistarsi diritti pari all’uomo nei luoghi di istruzione e di lavoro. Considerato un attentato alla bellezza della gioventù, spiega la relatrice, lo studio, in particolare nel sud Italia, copriva, all’indomani dell’Unità, solo l’età della prima infanzia. Dopo il primo biennio, le bambine venivano avviate al lavoro nei campi o all’arte della sartoria. Alcune, figlie di genitori progressisti e illuminati, si diplomavano e diventavano educatrici, ma si scontravano con l’arretratezza di un ambiente in cui l’insegnamento femminile era considerato una piaga sociale.
Un passo avanti viene compiuto nel primo decennio del novecento con la Legge Daneo-Credaro, che spiana la via alla carriera femminile in ambito scolastico. Ma in periodo fascista tornano ad inasprirsi le discriminazioni nei confronti delle studentesse, il cui unico ruolo è quello di generare figli-soldato da donare alla patria.
Sebbene infetto da una mentalità arretrata e fortemente discriminante, il sud Italia vede il fiorire di stupende figure femminili che, con saggezza e tenacia, contribuiscono alla costruzione di una nuova identità per la donna dell’Italia unita, colta e indipendente. Madri, educatrici e patriote, cui il presente volge uno sguardo ammirato nel constatare l’umiltà con la quale hanno saputo emergere.
La Bonelli menziona ad esempio la maestra Angela Basta, insegnante a Marina di Ginosa negli anni Venti – sposa del commerciante gioiese Filippo Guida – che riceverà la medaglia d’oro della Pubblica Istruzione dopo 40 anni prestati con passione all’insegnamento, e da Renato Moro, papà dell’indimenticabile Aldo Moro che la trasferì dalla zona malarica alla scuola cittadina. Antonietta De Pace, patriota che il 7 settembre del 1860 entrò a Napoli insieme a Garibaldi e altri 28 garibaldini avvolta nel tricolore e fu nominata ispettrice scolastica quando il senatore progressista Paolo Emilio Imbriani venne eletto Sindaco di Napoli, mentre suo marito, Beniamino Marciano divenne Assessore alla Pubblica Istruzione.
Un’attenzione particolare merita Fulvia Miani Perotti, fondatrice della prima Scuola Professionale Femminile del Meridione. Scrittrice ed educatrice, porta costantemente conforto a Mazzini durante il suo periodo di prigionia e pone volontariamente fine alla sua carriera quando il figlio Armando approda al successo letterario. “Vorrà essere ricordata”, chiarisce la Bonelli, “non come la poetessa, ma come la madre del poeta”.
Degne di menzione anche Caterina Ricciardi vedova Tateo, detta la “Cairoli delle Puglie”, eroica madre che incoraggia il figlio ventenne a partire per la Terza Guerra d’Indipendenza, e la speziale Rosina Roscigno Sessa, la “Cairoli di Salerno”, che accoglie i patrioti nel suo magazzino e madre di tre figli che educherà ai valori della libertà, prestati all’insurrezione. Una sua pronipote, Anna Maria Romano in Fasano, svela la relatrice, vive proprio a Gioia del Colle.
Queste e altre le figure femminili che, nella loro umiltà, hanno saputo elevarsi a modelli di dignità, coraggio, saggezza e tenacia. Valori che si dissolvono, per assurdo, in una società in cui la sana emancipazione che la donna si è conquistata sfocia sempre più spesso nell’ostentazione di atteggiamenti disinibiti, deleteri per l’immagine della donna stessa. Forse, a 150 anni, narrare le gesta di chi ha lottato in nome dell’indipendenza femminile, può servire a ricordare che non è nella spregiudicatezza di alcuni comportamenti che si riconosce l’emancipazione della donna, ma nel suo decoro e nella sua cultura.
Un incontro particolarmente toccante, il cui senso ben si condensa nella citazione di Cristina di Belgiojoso con cui la relatrice conclude il discorso: “che le donne felici e stimate del futuro rivolgano i pensieri al dolore e all’umiliazione di quelle che le hanno precedute nella vita, e ricordino con un po’ di gratitudine i nomi di quante hanno aperto e preparato la strada alla loro mai gustata prima, forse appena sognata, felicità”.