‘IL VILE AGGUATO’, “NON CREDERE VERITÁ RACCONTATE”
“All’inizio degli anni ottanta del Ventesimo secolo, due giovani magistrati di Palermo […] si trovarono per le mani […] una storia immensa. Scoprirono che cosa era Cosa Nostra […], come funzionava, e quale enorme macchina di soldi e potere era diventata”. Si intitola “Il vile agguato” l’ultimo libro di Enrico Deaglio, giornalista e scrittore di origini torinesi, presentato lo scorso 16 luglio presso il Chiostro di Palazzo San Domenico, durante un incontro organizzato dalla libreria “La Librellula” e, quindi, da Onorina Savino e le sue…”librellule”!
Presenti all’incontro anche la dott.ssa Piera De Giorgi, il prof. Sergio D’Onghia e il prof. Gianluca Gatti. Deaglio ripercorre gli ultimi giorni di vita del magistrato siciliano Paolo Borsellino, ucciso nel 1992 nella strage di Via D’Amelio insieme agli uomini – e all’unica donna – della sua scorta.
L’autore rispolvera le innumerevoli versioni ricostruite sull’accaduto, i colpevoli poi rivelatisi innocenti, le domande rimaste senza risposta, i depistaggi strategicamente architettati, le indagini infangate, i perché, i come. Ancora oggi, come sia stato possibile che un’auto (una Fiat 126?) carica di tritolo venisse parcheggiata a qualche passo dall’abitazione della madre del giudice, non è ancora chiaro.
Ad introdurre l’ospite, in qualità di Assessore alla Cultura, la dott.ssa De Giorgi, che ha sottolineato la necessità di rievocare il coraggio di quegli uomini il cui impegno per la patria e la cui rettitudine morale si contrappongono nettamente a tutt’altri modelli propostici dalla politica degli ultimi anni. Ripercorre le fasi salienti dell’agguato Onorina Savino. Un agguato vile, perché vile è il modo in cui siamo stati portati a credere a una falsa verità, frutto di un colossale depistaggio.
Una storia, come sottotitola lo stesso autore, di orrore e menzogna. Sergio D’Onghia e Gianluca Gatti si soffermano sui diversi piani della narrazione, quello storico-politico, che permette al lettore di cogliere il contesto nazionale e internazionale in cui Borsellino e il collega Falcone si muovevano nelle indagini, e quello della loro vita più intima e privata, delle loro paure, dei loro sospetti, della loro diffidenza.
Due servitori dello Stato, sottolinea il prof. D’Onghia, abbandonati a se stessi e spesso scontratisi con il grave disinteresse delle istituzioni nei confronti del loro operato. Due persone molto diverse, ma accomunate da una vocazione laica, quella della magistratura e della lotta alla malavita. L’autore getta luce sugli anni della Trattativa, di Tangentopoli, della nascita di “Forza Italia”. Sugli anni di un’Italia stremata dall’esplodere agghiacciante delle bombe. L’Italia delle bandiere bianche, della ribellione, di una società civile così vicina a una rivolta che non c’è mai stata.
Deaglio scrive “Il vile agguato” per rendere giustizia a un uomo più volte ucciso dalle innumerevoli versioni sulla strage di Via D’Amelio susseguitesi nel corso degli anni, da rivelazioni poi smentite, da verità nascoste, da disonestà inconfessabili. Un giudice scomodo e, in quanto tale, assassinato da quello stesso Stato per cui combatteva. Ironico.
Ironico che a saltar fuori fra i mandanti delle stragi degli anni 1992-1993 siano stati nomi poi diventati noti nel panorama politico nazionale, come Giulio Andreotti, Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi. “Lo stesso imprenditore eletto Presidente del Consiglio nel 1994, cosa che non sarebbe potuta succedere se Falcone, da Capo Nazionale Antimafia quale sarebbe diventato, lo avesse fatto arrestare per collusione con la malavita”, spiega Deaglio.
Lo stesso Berlusconi che, diventato ormai Premier e consolidata la propria immagine, avrebbe asserito che l’intervista a Borsellino saltata fuori solo dopo le sue elezioni (curiosa coincidenza), in cui il giudice faceva, tra gli altri, il suo nome fra i collusi con la mafia, era stata montata per screditare la sua immagine e il suo operato.
Era, insomma, un complotto contro di lui. Ma queste parole non suonano nuove a nessuno, perché le abbiamo risentite più volte nel corso dei diciassette anni in cui ha dominato la scena politica italiana.
“Il vile agguato” è un invito ai lettori a non accontentarsi della verità che ci viene raccontata, a concedersi sempre il beneficio del dubbio. A fare in modo, quindi, che i nostri “eroi” non siano morti invano. “L’Italia non è un paese per eroi”, scrive Deaglio. Facciamo in modo che lo diventi.