“STORIA DI UN MATRIMONIO”, RACCONTATA DA OSVALDO
In occasione della serata del 30 ottobre a Spazio UnoTre dedicata dal salotto letterario a “La storia di un matrimonio” di Andrew Sean Greer, incontro musicato dal gospel al banjo e al “dobro” di Pasquale Petrera, hanno commentato l’opera Giacomo Leronni, Piera De Giorgi, Sergio D’Onghia, Irene Martino, Cataldo Donvito e Marina Valentini.
A Vito Osvaldo Angelillo abbiamo chiesto un contributo “scritto” affinchè i lettori possano immergersi nel clima del salotto letterario anche attraverso le riflessioni che scaturiscono in questo piacevolissimo contesto.
Buona lettura!
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Per la verità con la letteratura nordamericana ho un rapporto che può solo migliorare: confondo Paul Bowles con Saul Bellow; non dispongo della predisposizione per imparare lo yiddish di Bashevis Singer o il dialetto algonchino, e non ho tempo per leggermi tutta la monumentale opera di Hemingway… Dunque che ci faccio con questo libro in mano? “Storia di un matrimonio”, scritto da A.S. Greer, nato a Washingthon (1970) e trasferitosi a San Francisco, però raggiungibile sia su facebook che su twitter…
Prendo a sfogliare le pagine, straccamente, prefigurandomi di leggerlo e di pensare ad altro. Lo sguardo cade da qualche parte nel libro, rilevando una folgorante frase: “Forse l’amore è una forma di pazzia e come tale non si può sopportare in solitudine…”. Cominciamo bene, mi dico, un autore così è un’autentica risorsa per i Baci Perugina.
Ma confidando nella mia più o meno velleitaria esperienza di drammaturgo di provincia e riadattatore di testi per il teatro piuttosto che nella illuminata aura di critico (quella che maggiormente si confà ad un salotto letterario) chiudo il libro per riaprirlo dalla prima pagina e da lì cominciare la lettura con lo stesso entusiasmo di un feto in formalina.
Pagina dopo pagina la lettura però diventa compulsiva, lo stile lineare e dal lessico semplice inducono lo sguardo ad andare oltre senza affaticarsi, e senza soste la narrazione incalza per adagiarsi qua e là in pozze di reticenze e di silenzi quali atti volontari e consapevoli di un menage familiare apparentemente perfetto, scandito dall’ordine e dalla consuetudine…
Vi è poco o nulla in questo romanzo che si possa decontestualizzare, e più si avanza tra le pagine e maggiore è la certezza che la forza di “Storia di un matrimonio” è nella struttura quadripartita ben collaudata in secoli di narrativa (e drammaturgia): 1) situazione iniziale, 2) complicazione, 3) risoluzione del conflitto, 4) finale a sorpresa. Voltata l’ultima pagina non ci sono dubbi: è la classica situazione della commedia borghese.
E borghese o tendente al borghese sono di tutti i personaggi gli atteggiamenti ed i comportamenti e i vezzi; così come lo sono buona parte di quegli ingredienti dai significati didascalici ma simbolicamente estensivi e alcuni provocatoriamente distonici ma che, paradossalmente, esaltano la tensione e lo sforzo dei personaggi nel voler somigliare ad un ben determinato modello di persone in un ben determinato momento storico, in una ben determinata località: la San Francisco dei primi anni ’50.
Se fosse soltanto così, quest’opera di Greer non sarebbe poi un gran ché originale, eppure è diventata un best seller. Perché? Fermo restando che un best seller non è necessariamente un capolavoro, Greer ha applicato significative variazioni sul tema secondo lo schema che vede due o tre nodi drammatici (o colpi di scena) che stupiscono e spiazzano il lettore (“è del poeta il fin la maraviglia / chi non sa far stupir, vada alla striglia” come ebbe a dire quattrocento anni fa Giovan Battista Marino).
La tecnica è quella del “punto di vista” cioè i personaggi vengono presentati da un altro personaggio (in questo caso da Pearlie, la protagonista del romanzo, che descrive tutto in prima persona) e sarà proprio lei a rivelare dopo ben cinquanta pagine che è una donna di colore. Fino ad allora l’abilità dello scrittore è stata tale da non permettere mai di pensare a Pearlie se non come ad una donna bianca.
Ma forse questo punto di forza è al contempo il tallone d’Achille: a posteriori le azioni della protagonista possono sembrare alquanto improbabili per una donna di colore di basso ceto. La lotta di Pearlie per somigliare alla piccola borghesia ha però tutte le caratteristiche di una resa, di una capitolazione al mondo dei bianchi, ad una società sempre più omologante e omogeneizzate. I difformi, i dissidenti, i renitenti occorreva scovarli e marchiarli di infamia e di antipatriottismo, renderli ben visibili nel migliore dei casi a secchiate di vernice gialla.
Il rigore delle descrizioni storiche e paesaggistiche rafforza l’idea del verosimile e intensifica la “sospensione del giudizio” del lettore quel tanto per appassionarsi alla vicenda ed arrivare all’altro nodo drammatico: come in ogni commedia borghese che si rispetti nella coppia è d’obbligo che entri un elemento estraneo e destabilizzante, e puntualmente compare: un raffinato ed elegante uomo bianco, molto ricco, un amico del marito di Pearlie, che si intrufola nella famiglia e che giorno dopo giorno si avvicina sempre più pericolosamente alla donna.
E cosa fa il bravo Greer? Sposta nuovamente il baricentro dal consueto all’insolito: non è Pearlie ad interessare lo sconosciuto, ma suo marito Holland. Alle spalle dei due uomini c’è infatti una vicenda omosessuale che però non è mai di scandalo per tutta la durata della narrazione e questa variazione sul tema, pur creando sorpresa, rifugge da quello spessore in limine al patologico e al morboso, cioè proprio quello che di solito attira il lettore nell’abisso della perversione e questo credo più per motivazioni editoriali: infatti il romanzo si trattiene su tinte pastello, acquarellate e manca della profondità delle ombre e della potenza muscolare degne della pittura di un Caravaggio preferendo al massimo l’espressionismo astratto di qualche Hopper… Non svelerò oltre, tantomeno il finale, anche se per un lettore sufficientemente smaliziato non sarà poi così sorprendente come vorrebbe far credere la critica ufficiale…
Mi diceva un amico a proposito di questo romanzo: “Sono sicuro che non ti piacerà, però lo leggerai fino all’ultima pagina”. Probabilmente una facile profezia, ma assolutamente vera.