TEATRALMENTE GIOIA: “VOLTI DI DONNA”, STUPRI E VIOLENZA-foto
Le donne, i loro volti, le loro storie… Storie di violenza, soprusi, silenzi, recitate da donne per esorcizzare l’orrore, condividere paure e dolore, infondere coraggio e conforto a chi lo ha smarrito o mai posseduto.
Il dolore di una donna violata, stuprata nel corpo e nello spirito è il dolore di tutte le donne di ogni tempo. Nella genesi dell’umanità attende ancora il suo riscatto e brucia e arde sotto le ceneri dell’evoluzione. Non ha voce. Una irrazionale e ingiustificata vergogna, retaggio altrettanto ancestrale, tacita l’urlo a stento trattenuto da labbra serrate. Il vento dell’emancipazione ha smorzato solo in apparenza la violenza latente di un primordiale abominio. Il rispetto, le pari opportunità conquistate a fatica, svaniscono al ridestarsi di atavici istinti, quando la scintilla di una parola, la provocazione di un gesto trasformano uomini sempre più fragili, sempre meno forti, in bestie e feroci assassini.
Teatralmente Gioia e la Pro Loco nella scelta di monologhi crudi, a tratti violenti quanto la violenza da essi condannata, danno voce al dolore con parole che fustigano il perbenismo, scuotono nel profondo ed evocano atmosfere, situazioni, scenari paradossali eppur reali, assurdamente veri.
Giustina Lozito e Augusto Angelillo – yin e yang in regia – e l’appassionata interpretazione di Enza Molinari del Teatro Egò, di Tina Difonzo e Angela Panessa, rendono “Volti di donna” un evento intenso ed indimenticabile.
Augusto Angelillo presenta la psicologa Isabella Tancorre e annuncia i sei monologhi: “Il femminicidio” di Lella Costa, “La puttana in manicomio” di Franca Rame e Dario Fo, “Farida” di Valentina Acaira Mmaka, “Medea” di Euripide, il monologo tratto da “Filumena Marturano” di Eduardo De Filippo e “Lo stupro” di Franca Rame.
Isabella Tancorre con esperienze nelle associazioni “Differenza Donna” e “Attivamente Coinvolte”, nel suo breve excursus traccia le coordinate di un fenomeno sempre più attuale e cogente.
“Una donna su tre è vittima di una violenza che ha origine quasi sempre tra le mura domestiche, la esercita il potere che l’uomo – nel 90% dei casi il marito, l’ex fidanzato – agisce su di lei. In un rapporto di potere non c’è amore… Stupro di massa, mutilazioni genitali, femminicidio hanno causato nel 2012 ben 124 uccisioni. Fuoriuscire dalla violenza è complicato, non è facile denunciare il compagno con cui hai condiviso un progetto di vita, un sogno. La violenza fisica è un danno reiterato nel tempo, un danno fisiologico, sociale con costi che ricadono sulla società (cure in ospedale, assenze dal lavoro…) e che richiede un lavoro di rete. Occorre coinvolgere diversi attori e lavorare sulla prevenzione. Tre sono i punti fondamentali: il primo è il lavoro sulla cultura con iniziative che sensibilizzino all’argomento, come quella di stasera. Parlarne non è facile, è più facile colpevolizzarsi… quella che conosciamo è solo la punta dell’iceberg. Il secondo punto è la conoscenza del fenomeno, ci sono dinamiche che si devono conoscere; il terzo è il lavoro di rete tra forze dell’ordine, docenti, persone comuni…”
Lo spettacolo ha inizio. Entrano in scena le tre attrici. Tina, vestita da uomo, con inusitata violenza tira capelli, strattona, spintona, picchia e maltratta Enza e Angela vestite di bianco, metafora di purezza e innocenza.
Alle sue spalle una scenografia essenziale, a firma di Annalisa Porfido. Il busto di un manichino – femminea allegoria di mutilazioni – è posizionato su un tronco, anch’esso metafora di radici salde nell’humus sociale. Busto e tronco sono costellati di simbologie di violenza: un coltello, una accetta, cinghie, cappi, corde, fili di nylon, una pistola, un rasoio, un sasso che rievoca bibliche lapidazioni… strumenti di morte e dolore. Sulla maglietta le ferite inferte lasciano scie di sangue, mentre occhi muti e disperati osservano senza voce, impotenti “foglie” di un albero cui è stata sottratta la vita.
Accanto una poltroncina, la stessa scagliata da Enza nelle vesti di “pazza”, a sinistra un unico faro che squarcia l’oscurità e crea luci e ombre molto suggestive.
La luce dialoga e interagisce con la narrazione, enfatizza le espressioni, disegna chiaroscuri, fende il buio, illumina parte dei volti e dei corpi, accentua l’eco delle stesse voci che pur prive di amplificazione giungono dritte al cuore. La locandina e il piano luci, a firma di Gianluca Masiello in collaborazone con Mattia Angelillo, sono il valore aggiunto della serata. La biblioteca Angelilli, cornice alquanto angusta, trabocca di spettatori, alcuni sostano all’esterno pur di non rinunciare all’ascolto.
La bravura delle attrici sgomenta quanto il loro “essere nella parte”, il realismo dei gesti, la disperazione degli sguardi, l’intensità del dolore espresso dai loro volti. Quando la sedicenne Angela Panessa rivive lo stupro subito da Franca Rame, il silenzio di aggruma, l’angoscia stringe nella sua morsa i presenti, l’emozione sfiora il pathos in un crescendo che taglia il respiro e attanaglia…
Angelica Mastromarino scandisce i monologhi con intervalli musicali a tema, abilmente eseguiti alla tastiera senza spartito. Le sue note limpide riecheggiano al pari delle parole.
Quattro donne, quattro cuori, una sola voce.
“Davvero è audace impresa ostinarsi a spiegare che non esiste una sola questione femminile che non riguardi l’intera umanità, l’intera terra. Che la questione femminile è la questione che sul possesso ed il controllo delle donne si gioca il futuro di tutti!”
“Noi volevamo sancire la nostra superiorità. Solo che l’abbiamo chiamata differenza, per quieto vivere. Volevamo provare a stabilire noi le regole – recita Tina Difonzo nel monologo di Lella Costa -, volevamo tornare ad essere… Erinni, Streghe, Parche, Fate, Divinità. Noi volevamo il potere, volevamo cortesemente rivoluzionare la vita, ma di tutti.”
Enza Molinari nel “Monologo di una puttana in manicomio” sfida se stessa: si abbandona ad isterismi, urla, si arrabbia, si dispera… “Ha visto, dottoressa, come sono brava? So tutto della sensualità della donna io. Sì, so tutto, però sono scema, peggio: un’idiota, come dire deficiente…”, e la poltroncina vola rovinosamente contro il muro, scagliata con forza.
Angela Panessa rievoca i sogni di Farida.
“Ho iniziato che non avevo ancora l’età per amare… vedevo i miei pensieri scorrere sulle pareti appena schiarite di luce riflessa. Vedevo le orme delle mie storie… le trame sfilavano rapide e gli occhi le inseguivano prima che si dissolvessero nell’arco di luce che a un certo punto le trapassava… La mia scrittura? E’ da lì che nasce tutto, è da lì che nasco io.”
“In fondo, siamo solo donne: incapaci di nobili imprese, ma di tutti i mali artefici molto sapienti…”, declama Enza, splendida, drammatica ed eterea Medea.
Tina, nelle vesti di una Filumena poco partenopea e molto italiana, implora la Madonna delle Rose di aiutarla. “Cosa devo fare? Tu sai tutto… sai pure che ho peccato. Cosa devo fare? Rispondi!” E la risposta non tarda ad arrivare, forse da un vicolo o da una finestra: “E figlie so’ figlie!”
Infine Angela Panessa conclude con “Lo stupro”.
“Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce… la parola. Prendo coscienza delle cose, con incredibile lentezza… Perché mi stringono tanto? Io non mi muovo, non urlo, sono senza voce… Sta per succedere qualche cosa, lo sento… Respiro a fondo… due, tre volte… Quello che mi tiene da dietro, tende tutti i muscoli… li sento intorno al mio corpo. Non ha aumentato la stretta, ha solo teso i muscoli, come ad essere pronto a tenermi più ferma… Mi sento come proiettata fuori, affacciata a una finestra, costretta a guardare qualche cosa di orribile…
il cuore mi si sta spaccando, non voglio uscire dalla confusione che ho. Non voglio capire. Non capisco nessuna parola… Mi schiacciano una sigaretta sul collo, qui, tanto da spegnerla. Ecco, lì, credo di essere finalmente svenuta… Il camioncino si ferma per il tempo di farmi scendere… È quasi scuro. Dove sono? Mi sento male… non solo per il dolore fisico in tutto il corpo, ma per lo schifo… per l’umiliazione… per le mille sputate che ho ricevuto nel cervello… Cammino… cammino non so per quanto tempo. Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura. Appoggiata al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. Penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora… Sento le loro domande. Vedo le loro facce… i loro mezzi sorrisi… Penso e ci ripenso… Poi mi decido…Torno a casa… torno a casa… Li denuncerò domani.”
Il successo della rappresentazione è totale, l’applauso riporta tutti al presente e scioglie quel nodo che stringe la gola… Si tornerà in replica a Santeramo, Acquaviva, Bari e Roma.
Le donne, i loro volti, le loro storie… possono aiutare altre donne ad alzare la testa e trovare il coraggio di denunciare, di difendersi e vivere con dignità il futuro.