PREMIO “C’ERA UNA SVOLTA”. LICEALI GIOIESI IN EVIDENZA
Ad Albenga, presso il Teatro Ambra, tra i venti finalisti della XVII edizione del concorso letterario nazionale “C’era una svolta” – cui hanno partecipato oltre mille studenti provenienti da 35 istituti d’Italia -, ben quattro hanno portato lustro e gloria al Liceo Classico “Virgilio Marone”. Un risultato di per sé portentoso, praticamente da guinness!
Due in particolare, classificatisi al sesto e settimo posto, si sono aggiudicati il premio speciale della giuria esterna con menzione di merito. Ad accompagnarli il professor Leopoldo Attolico, che con orgoglio ne ha seguito le gesta.
Al 6° posto Vito Alberto Lippolis (I liceo classico), già vincitore dell’ultima edizione del Concorso “Lo Stato siamo noi”. Il suo “Evol” ha ricevuto il premio speciale accompagnato dalla seguente menzione: “Per il recupero degli elementi del passato della protagonista, ricostruiti in una storia logica e coerente.”
Settima Antonella Donvito (II liceo classico), con “Amnesia” premiata “per lo stile e l’analisi introspettiva con cui è rappresentata la progressiva scissione tra i due coniugi.” Antonella, figlia d’arte del giornalista e vicesindaco Filippo Donvito, lo scorso anno nella precedente edizione si era piazzata al quinto posto distinguendosi per originalità e felice scrittura creativa.
Decima Anna Campolongo (IV ginnasio) con “Mare” e undicesima Arianna Campanelli (II liceo classico), con “Tersicore”.
Il Concorso deve il suo successo al coinvolgimento dei partecipanti, chiamati a continuare un “incipit” scritto appositamente da un autore italiano famoso e renderlo proprio, sviluppando la storia tracciata dallo scrittore. Le passate edizioni hanno visto la collaborazione di autori quali Ernesto Franco, Nico Orengo, Bruno Morchio, Ernesto Ferrero, Lorenzo Mondo, Andrea De Carlo, Margherita Oggero, Enrico Remmert, Giuseppe Conte, Sebastiano Vassalli, Gianrico Carofiglio, Andrea Bajani, Simonetta Agnello Hornby, Umberto Eco, Michela Murgia e Cristina Rava.
Quest’anno l’incipit l’ha dato la scrittrice Paola Mastrocola, che ha commentato con particolare interesse i testi dei primi cinque classificati, lodandone lo stile e l’originalità.
Vincitrici del primo premio ex-equo sono Alessia Bareggi (ultimo anno del Liceo classico nel Liceo “Giordano Bruno” di Albenga) ed Asia Iosue (ultimo anno del Liceo Scientifico “Romita” di Campobasso). Terzo posto per Roberta Silvestri (4° anno Liceo Classico Foscolo di Albano L.); mentre per Ilaria Barzon (classe seconda del “Giordano Bruno”) premio speciale della giuria interna “Maria Maddalena Buzzone”, “per la scelta stilistica e per la storia costruita”.
Racconto in concorso di Vito Alberto Lippolis
EVOL
“-Sono solo un vecchio rincoglionito!- tuona Giancarlo, in preda all’ira.
Rimango immobile, atterrita.
Ricordo ancora da bambina, quando ero lì, dietro a Nina, con le scarpette di vernice rossa, bellissime, come avessi i piedi conficcati dentro due ciliegie splendenti. Erano le scarpe della feste, o almeno avrebbero dovuto esserlo. Le comprò per me un giorno il Babbo, rincasando dal lavoro, lasciando la Mamma estasiata e sconvolta per come fosse riuscito ad indovinarne il numero; davvero, ne fu quasi sconvolta.
Mancavano mesi al mio compleanno, mi sembrò un dono divino caduto giù dalle mani grandi e pulite di quel gigante biondo di mio padre.
Nina aveva invece le mani sempre sporche, puzzava, e con quelle sue grinfie unticce molestava il candore che con sforzo Mamma riusciva a creare nella nostra piccola casa. Continuai a indossare le scarpe rosse per molto tempo ancora.
Mi si ruppero le scarpe della scuola, quelle nere e tristi ma con le quali ero libera di correre per i giardinetti assieme a Ciccio, Grazia e agli altri bambini del quartiere.
Fu allora che ottenni il beneplacito di Mamma per indossare, anche a scuola, le scarpe della festa.
Assieme a quel tanto atteso permesso, arrivò però anche il rimbambimento di Nina. La Nina era da sempre con noi, non era mia nonna –quella non l’avevo mai conosciuta né sapevo che forma avesse- però faceva le stesse identiche cose che vedevo fare alle nonne degli altri; cucinava, rammendava e mi chiamava dal balcone per la cena nelle occasioni in cui Mamma, vuoi per il lavoro o per chissaché, era fuori di casa e io ero affidato alle cure della Nina.
Mi fu dato l’ingrato compito di seguirla nel suo rimbambimento – esattamente come lei aveva seguito me da pestifera infante qual ero non troppo tempo addietro – in un grigio pomeriggio d’inverno.
Svolgevo il mio compito con gran piacere e solerzia, avrei fatto di tutto pur di poter richiudere quelle maledette frazioni nel loro quaderno azzurro.
La faccenda iniziò a scocciarmi con l’arrivo delle belle giornate.
Passavo le ore a controllare che quella vecchia bavosa non distruggesse, mangiasse o nascondesse nulla e, col bel tempo, ero costretta a rimanere seduta con lei sull’unica e ultima, tenace panchina arrugginita dell’isolato.
Che tutti questi ricordi riaffioranti siano solo un attimo di nostalgia per quei tempi comunque lieti e senza rughe o stia cercando semplicemente di dirmi qualcosa che temo da tempo?
In realtà, pensandoci, se Nina non avesse iniziato a vagare per la casa, urlando le canzoni che un decennio prima, assieme alle bombe, avevano ucciso mia nonna, quella vera, se non fosse mai ammattita, non avrei mai conosciuto Giancarlo, il bambino gracile e gentile, che, solo, veniva a sedersi accanto a me e a lei, con la sua bella salopette di jeans, continuando a complimentarsi con me per le mie belle scarpette, anche quando perfino l’ultimo pezzo di vernice era venuto via, lasciando la calzatura spoglia e triste, come la panchina sgangherata sulla quale sedevamo.
Lo sento brontolare in salotto, mentre, ormai rassegnata, metto sul fuoco la macchinetta del caffè.
Ed eccole: a terra, le scarpe, allacciate solidamente ai miei piedi.
Le guardo, sento le braccia cadere e la caffettiera con loro.
-Nina, sono io!
Lo urlo forte, lo urlo nella mia mente, nell’anfratto più remoto di me stessa.
Con chirurgica precisione mi chino, le sfilo, le raccolgo e le lancio lontano, sulla veranda.
-Eccole caro, le avevo lasciate io fuori ieri sera, che sbadata!”
Vito Alberto Lippolis