LINO ANGIULI E “L’APPELLO DELLA MANO” A SPAZIO UNOTRE
Avrà luogo giovedì, 18 novembre, alle ore 19.30, uno degli incontri più attesi presso Spazio UnoTre, rivelatosi “poeticamente” poliedrico, tanto da ospitare insieme ad autori più o meno giovani, più o meno conosciuti, anche grandi dello spessore di Lino Angiuli.
Il poeta presenterà “Narrare la Poesia – L’appello della mano” (Aragno editore, Torino 2010), a leggerne i versi lo stesso autore e Lino Di Turi.
Il 21 ottobre Lino Angiuli era a Firenze con il nostro Giacomo Leronni. Insieme hanno presentato l’antologia “Puglia in versi” – I luoghi della poesia, la poesia in versi (a cura di Daniele Maria Pegorari, ed. Gelsorosso, 2009).
La presentazione fiorentina organizzata dalla Camerata dei Poeti in collaborazione con la Fondazione “Il Fiore” è stata introdotta da Lia Bronzi.
Gli interventi critici di Lino e Giacomo, gli inebrianti versi pugliesi ed i trascorsi rapporti letterari tra Puglia e Toscana, hanno “ispirato” alla presidente della Fondazione, Grazia Beverini Del Santo una brillante idea, condivisa da tutti i poeti presenti.
“Grazia Beverini Del Santo ha proposto un vero e proprio viaggio poetico in Puglia – dichiara Giacomo Leronni – sulla scorta delle indicazioni fornite dalla guida di Gelsorosso e di altri spunti artistici e poetici che il territorio certamente offre, alla riscoperta dei luoghi e delle voci dei poeti della nostra terra, con l’obiettivo di promuovere anche un turismo alternativo, differente
rispetto a quello consumistico e globalizzato che è sotto gli occhi di tutti”.
Una proposta che sarà studiata e messa in cantiere nei prossimi mesi, come prima tappa di un tour che dovrebbe poi interessare altre regioni d’Italia.
Tornando a “L’appello della mano”, lasciamo che siano alcune riflessioni di Daniele Maria Pegorari a “tratteggiarne” la poetica.
“Il nuovo libro di Lino Angiuli segna un nuovo stadio nel graduale percorso di acquisizione linguistica e di coeva critica del reale che il poeta della Terra di Bari sta conducendo con rigore e metodo da poco più di quarant’anni. All’origine di tutto vi è una contrapposizione, avvertita insieme con dolore e provocazione, fra la matrice contadina, esprimibile solo attraverso il dialetto e l’armamentario fantastico e cultuale di un’antropologia antichissima, e la scrittura come coscientizzazione di quel mondo adulto e moderno che parla una lingua codificata attraverso la tradizione letteraria”.
In questa opera definita più “severa e densa”, “la libertà inventiva nella creazione dei metri è tuttavia disciplinata da una ‘numerologia laica’ (che rinvia, cioè, a un puro principio d’ordine, senza specchiarsi in una simbologia arcana) che incanala e rende gradevole (in quanto musicale) e comunicabile (in quanto sintattica) un ribollire di riflessioni e occasioni che compongono una vera e propria antropologia poetica. Il discorso si fa chiaro sin dall’ambiziosa sezione di apertura, “Meditareneo”, in cui la consuetudine del poeta pugliese col ‘calembour’ nasconde il riferimento paratestuale di tipo oppositivo alla celebre sezione “Mediterraneo” degli ‘Ossi di seppia’ di Montale”.