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MASTROVITO: “IL PAVAROTTI DEGLI OTTONI” BANDA DI GIOIA

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giannino_mastrovitoAttraverso “Giannino Matrovito: “il Pavarotti degli ottoni”, il fascino della storia, ancor più che attraverso “trattati” canonici, avvince i lettori. Il segreto? Il desiderio di condividere la memoria storica di un appassionante viaggio nella musica, di cui è protagonista ed appassionato testimone Giovanni Mastrovito, narrate da un  altrettanto appassionato “aedo”: Papaolo-covellaolo Covella.

Il suo strumento preferito? La “penna”, con cui compone struggenti melodie sul pentagramma letterario gioiese, nuovamente intinta nell’inchiostro della storia (in “Gioia del Colle tra reazione e rivoluzione” ha tratteggiato lo splendido profilo del senatore Domenico De Leonardis, il “prete rosso”). Se invece cede alla tentazione di intingerla nella satira, in punta di fioretto ricama roventi stilemi cui è difficile sottrarsi senza restar “segnati”.

banda_a_crotoneGiannino Mastrovito è il suo “pretesto” per rievocare i fasti, tra luci e ombre, della Banda di Gioia, suo grande amore, ed è al contempo il suo ancoraggio ad un presente che ha il privilegio di poter “ascoltare” in diretta la testimonianza di chi visse le vicende narrate.

La presenza di Giannino, cui è dedicata la monografia edita Suma di Paolo Covella – sul palco in occasione della presentazione del libro nel pomeriggio di oggi, 30 maggio, alle ore 19 nel teatro Rossini – è preconcerto_padre_semeriaziosa fonte di emozioni.

Nel contesto storico, sociale ed economico di quegli anni irti di difficoltà, lo studio in generale, quello di uno strumento in particolare, erano privilegio per pochi. Diventare “primo tenore”, sia pur aiutato dal destino, non era impresa da poco.

Maestri e personaggi rivivono con immediatezza, l’aneddotica unita al tratteggio netto, senza arzigogolate sovrastrutture, rende vividi, ricchi di sfumature e indimenticabili  i caratteri dei “nominati”.

musicanti_in_viaggioCome non associare gli ironici appellativi de “il gatto e la volpe” a Carlo Ricciardi e Matteo Colacicco, impresari santermani che tante figuracce, “disdoro e vergogna” causarono alla banda negli anni ’70, ad ogni cambio di “tonalità” ovvero località per procacciare ingaggi più vantaggiosi? Così come il crollo della pedana del palco a San Severo, in Piazza Castello, descritta in vignetta, in parole e soffusa maldicenza, probabilmente mal progettata o forse frutto di sabotaggio, essendo accesa la concorrenza tra le bande negli anni ‘50.

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Il papà di Giannino è Donato, maestro mastellaio ed egli stesso longevo “bandista” con al suo attivo 62 anni di onorata carriera, venuto meno nell’85 a 78 anni di età. Attraverso i vissuti di papà  Donato, Covella ripercorre dal ’28 all’81 le vicende della banda, una storia nella storia in cui si rincorrono nomi e vicende, un propedeutico viaggio iniziatico che vedrà Giannino affermarsi nell’agone orchestrale. Avviato agli studi della tromba e del corno, è nel trombone che declina il suo talento, a disciplinarne “a ferro, fuoco” il carattere, il Maestro Giacomo Argento. Nel ’48, a soli 14 anni suona con Paolo Falcicchio, sotto la sua direzione crescerà musicalmente. Tra i doni che ricorda con più affetto il bocchino in legno, prezioso gioiello di artigianato napoletano ricevuto da Cesare Brandi di Canosfalcicchioa.

Il 20 maggio del ’60 a San Severo il flicorno tenore Angelo Gorgoni, colpito da un attacco di appendicite, è costretto a tornare a casa. Giannino, secondo tenore, già avvezzo a sostituire il Gorgoni, ne prende il posto e diviene primo tenore. E’ bravo davvero, da tutti è riconosciuta la sua abilità. Guadagnare in quegli anni 170mila lire al mese non è impresa da poco, soprattutto se per natura si è di indole gentile e generosa, di temperamento schivo e poco cofalcicchio_2mpetitivi.

Tanti i grandi maestri sotto la cui direzione si è formato Giannino: Paolo Falcicchio (dipinto a tinte forti, ma con sincero rispetto), Raffaele Chiaia (indimenticabili gli aneddoti sulla generosità del Maestro), Gioacchino Ligonzo “bravo, preparato, prestigioso” ed estimatore dell’intonazione di Tito Schipa, ed ancora Alfonso Matrella e il giovane  Michele Marvulli, ricmichele_marvulliordato per la sua abilità nel conferire “sicurezza ai musicanti e prestigio alle esecuzioni”.

“Con Marvulli – scrive Covella – Giannino torna al clima falcicchiano del confronto sulle partiture, del reciproco ascolto, dell’approfondimento anche emotivo e culturale di una romanza.”

A  Marvulli è legato il ricordo del concerto del ’69 nella città di Rutigliano, insanguinato dalla morte di un operaio caduto mentre riparava le luminarie, alla cui famiglia venne devoluta parte dell’incasso, o alla sua pretesa di far suonare seduti i musicanti.musicanti_circolo_giacomo_argento

E’ ancora in banda con i maestri Giuseppe Chielli, Gino Bello, Florindo Pizzoleo, Pietro Marmino e Mario Cananà.

“Giannino – ricorda Covella – ormai era un mostro sacro: ma la sua indole, pacata e paciosa, oltreché la sua bravura e il suo prestigio, suscitavano qualche invidia.”

Anche per questo, dopo 42 anni1947_musica_cooperativa_la_lira di vita “in banda” si dedicò esclusivamente all’insegnamento, grazie a cui oggi può godere di una dignitosa pensione.

La narrazione di Paolo Covella scorre e si dipana incalzante, lasciando alle note a piè pagina l’approfondimento, pur se esaustiva in ogni sua parte. La scelta, infine, di dedicare a chi ci è accanto e può goderne a pieno, trama e ordito di vita vissuta, rende ancor più preziosa e meritoria questa opera, da “gustare” insieme per celebrare i fasti e la gloria della più significativa e significante istituzione gioiese che tanto onore donò alla città.

Le foto sono tratte da “Giannino Mastrovito: il Pavarotti degli ottoni”.

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