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INGROIA: “RICORDARE PER NON DIMENTICARE”, E RIFLETTERE

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Martedì 18 maggio 2010, si è concluso, dopo quattro giornate, l’evento “Ricordare CAPACI…CAPACI di ricordare”, in memoria della strage del 23 maggio 1992, in occasione dell’anniversario del compleanno del Giudice Giovanni Falcone. Per questa giornata, l’“Osservatorio Regionale sulla Legalità”, in collaborazione con “WWF”, “Arci Lebowsky”, “Agesci Gruppo Scout”, “Legambiente”, “Fidas”, “A.SO.TU.DIS” e “Un ponte…per un sorriso”, ha ospitato presso l’Auditorium del Liceo Scientifico “R. Canudo” di Gioia del Colle il Procuratore Aggiunto della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, il Dott. Antonio Ingroia.

DSC04685L’incontro ha inizio con l’arrivo del Procuratore e attraverso la voce di sei giovani ragazzi che simulano inconsciamente una paradossale intervista alle cinque vittime di Capaci, con le intenzioni di fornire un quadro generale sulle loro vite e sulla dedizione a un lavoro che per mano della mafia queste vite le ha stroncate:

Francesca Morvillo: (Palermo, 14 dicembre 1945) si laurea con lode giovanissima in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Palermo. Negli anni a seguire decide di entrare in magistratura come suo padre e suo fratello, e nel 1979, dopo un primo matrimonio conclusosi con un divorzio, incontra – suscitando scandalo nel Palazzo di Giustizia – Giovanni Falcone che sposerà, quasi furtivamente, nel 1986. Lo amava profondamente ed aveva scelto di sposare un uomo che poteva perdere, senza sapere che il destino li ha uniti e li ha visti insieme anche nella morte.

Rocco Di Cillo: (Triggiano, 1962) diplomato in chimica industriale e arruolato nel 1998, era Agente Scelto della Polizia di Stato della Questura di Palermo.

Antonio Montinaro: (Calimera, 1962) era Assistente della Polizia di Stato della Questura di Palermo, capo della scorta di Falcone e a soli trent’anni lascia la moglie Tina e due figli. Era un uomo che sentiva altissimo il senso del dovere, quel tragico pomeriggio del 23 maggio del ’92 non era di turno, ma chiese un cambio perché era venuto a conoscenza dell’arrivo a Roma del Giudice e voleva essere lui a scortarlo ancora una volta, senza sapere che sarebbe stata l’ultima. In qualità di Capo-Scorta, Montinaro espose a Falcone il suo pensiero riguardo ad un mestiere così rischioso in questi termini: “Chiunque fa questa attività, ha la capacità di scegliere tra la paura e la vigliaccheria. La paura è qualche cosa che tutti abbiamo: chi ha paura sogna, chi ha paura ama, chi ha paura piange. È la vigliaccheria che non si capisce e non deve rientrare nell’ottica umana.

Vito Schifani: (Ostuni, 1965), Agente Scelto della Polizia di Stato della Questura di Palermo, era al volante della vettura assieme a Di Cillo e Montinari ed era la più giovane delle Vittime della strage. Lascia la moglie Rosaria Costa e un figlio di appena quattro mesi, un uomo che viveva di lavoro, di sport e di famiglia.

Giovanni Falcone: nasce a Palermo il 18 maggio 1939, è stato un Grande Magistrato Italiano impegnato con tutte le sue forze e fino alla fine nella lotta alla mafia. Dopo una breve esperienza presso l’Accademia Navale di Livorno, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza all’Università degli Studi di Palermo, laureandosi con lode nel 1961. Vince il concorso in Magistratura e arriva a Palermo nel 1978. La sua devozione al lavoro, il senso di giustizia, la sua riservatezza e il suo amore per la Sicilia e per la famiglia, ridotti in un pugno di cenere dal tritolo di Capaci.

DSC04690Dopo questo preambolo su una pagina così dolorosa della storia italiana raccontata dalle labbra innocenti di questi ragazzi, la Professoressa Tonia Scarnera ricorda il suo concittadino, l’Ing. Donato Boscia, vittima della mafia dinanzi al terrificante binomio “Pagare o Morire”, e lungo le vie interrotte dalla fine di sogni di speranza lascia la parola al Procuratore Antonio Ingroia.

Considerata la circostanza dell’incontro, visionato uno degli slogan di questa iniziativa: «RICORDARE CAPACI. Lungo la strada della verità “PER NON DIMENTICARE”», esordisce facendo leva sui due verbi ricorrenti e sottolineando quanto sia un occasione per ricordare e per non dimenticare, puntualizza che deve essere soprattutto un momento per RIFLETTERE. Da qui, il racconto e il ricordo di Falcone e Borsellino.

Ingroia si laurea ne 1982 con una tesi sull’Art.416 bis di La Torre, appena istituito, e nasce così il suo impegno nella battaglia contro la mafia. Il 416 bis punisce il solo fatto di essere legati alla mafia, in un momento in cui questa diventava sempre più difficile, i processi di assoluzione dilagavano per insufficienza di prove, e finalmente, dopo tanti anni arrivano i provvedimenti richiesti. Lo Stato formula e introduce la legge, mosso dall’indignazione dell’opinione pubblica radicata nell’uccisione del Generale Dalla Chiesa (1982), anche se lo stesso anno dell’emendamento Pio La Torre verrà ucciso su commissione di Salvatore Riina per la proposta di legge che prevedeva il sequestro e la confisca dei beni dei mafiosi. Con l’approvazione del 416 bis, nel 1986, è cominciato un processo durato due anni nel quale sono state indagate più di 400 persone grazie anche alla decisione di collaborare di Tommaso Buscetta. Anche Falcone e Borsellino nel 1992 portano avanti molti di questi processi, ma la loro morte nello stesso anno solleva un forte movimento d’opinione, e la presa di coscienza collettiva dopo quel bagno di sangue apre le porte a quella che è stata definita “Primavera Siciliana”.

Il Dott. Ingroia nell’87, al termine del Maxiprocesso, entra in magistratura e affianca Piero Grasso, all’epoca Giudice della Corte D’Assise, che aveva esposto le condanne del processo stesso.

Nel 1988 l’incontro con Giovanni Falcone, ancora Giudice Istruttore, e il ricordo di mesi straordinari. Ingroia è stato il primo Magistrato in tirocinio da un Magistrato e ripensa a quando Falcone, ignaro del fatto che gli fosse stato affidato un tirocinante, faceva trasparire delle linee di fastidio e di diffidenza causate dalla sua presenza provocando nel giovane un forte senso di imbarazzo. In quegli anni Falcone stava avviando un altro grande processo che vedeva come collaboratore di giustizia Antonino Calderone, mafioso di spicco, e chiede proprioDSC04697 ad Ingroia di leggere una raccolta di verbali deposti dal pentito senza però concedergli la possibilità di portare i documenti con se. Dopo qualche settimana tra il Giudice e il suo “discepolo” si instaura un rapporto cordiale che induce Falcone a domandare se un giorno anche lui pensasse di occuparsi di mafia, senza sapere che sarebbe andata proprio così. Ingroia evoca il modo sornione del Giudice di interrogare, i tratti del suo viso durante gli interrogatori, e la sua rabbia dinanzi ad una latitanza palese di Totò Riina nella città stessa che gli aveva addirittura creato una scorciatoia per concepire un figlio in una clinica privata. Un latitante che qualche anno più tardi sarebbe stato il mandante della strage di Capaci.

Terminato il tirocinio, Ingroia diventa Procuratore – lo è da più di vent’anni – e si scontra con una realtà appartenente alla giustizia che si dissocia da quella che aveva appena osservato. È una realtà  difficile, l’atmosfera che si respira è pesante e le critiche verso Falcone si spingono ad un punto tale da collocarsi in una posizione che non è più quella della giustizia, ma addirittura opposta e ciò che ancora di più sconvolge è che tutto questo avviene alla luce del sole. Il giudice rappresentava una minaccia per l’economia illecita siciliana che racchiudeva in se gran parte della classe dirigente.

Nell’estate del 1989 Ingroia è in procura quando Falcone diventa vittima di un attentato fallito presso la sua villa al mare. Il Giudice l’aveva già  intuito ed era certo che non si trattava di un attentato solo di Cosa Nostra, ma riguardava anche altre entità, istituzioni e i Servizi Segreti che volevano ostacolare l’inchiesta sul riciclaggio in corso, “Menti Raffinatissime” – così le definiva Falcone -. Sotto questa vicenda, girava voce che Falcone si fosse messo da solo la bomba in quanto l’attentato era fallito e la mafia non fallisce mai, con l’intento di attirare l’attenzione per diventare Procuratore Aggiunto.

Intanto, al Palazzo di Giustizia di Palermo, erano arrivate una serie di lettere anonime che accusavano Falcone di aver mandato un pentito ad uccidere dei corleonesi. Considerati i dettagli presenti negli scritti si credeva che le diffamazioni provenissero da un magistrato, all’epoca incriminato e poi prosciolto perché le impronte non corrispondevano in tutti i punti. Queste lettere si riveleranno successivamente come un’anticipazione della Strage di Capaci.DSC04692

Ingroia, in seguito, comincia a fare il Pubblico Ministero a Marsala, dove Procuratore Capo è Paolo Borsellino: gli cambierà la vita. Borsellino rispetto a Falcone è molto più estroverso e coinvolgente, ed è proprio con lui che Ingroia sceglie di cominciare le indagini di mafia che lo condurranno ad un percorso difficile fatto di minacce e di vita blindata, infatti nel 1990 gli viene data la prima scorta. Quando gli arriva la prima lettera di minaccia contenente dei proiettili, anche nei confronti di sua moglie e del figlio appena nato, lui è appena diventato magistrato, quindi vi è stata una fuga di notizie dal Palazzo di Giustizia stesso e Borsellino va in collera perché non è stato abbastanza bravo da proteggerlo.

Nel 1992, dopo la strage di Capaci, il Procuratore Capo diventa più chiuso e confida al suo collega di sentirsi più esposto in quanto fino ad allora Falcone aveva fatto da “scudo”. Borsellino amava parlare di ogni cosa, da argomenti di estrema serietà a barzellette per suscitare il riso, lui era un buon narratore e Ingroia un buon ascoltatore; rispetto a Falcone, attento alla sicurezza, era un uomo libero che cercava delle scappatoie per schizzare via con il motorino di suo figlio. Nel’92 Borsellino sostituisce Falcone, dopo la sua morte, che avverte vicina dopo l’assassinio di Salvo Lima avvenuto pochi mesi prima.

Il Dott. Ingroia incontra Falcone in occasione del suo 53° compleanno e ricorda con amarezza che Borsellino, convinto di morire a 52 anni, come era successo a suo padre e a suo nonno, rivolse una battuta al festeggiato che era riuscito ad arrivare a 53 anni “fregandolo”. Una settimana dopo si consuma la strage di Capaci e un mese più tardi viene assassinato Borsellino, proprio all’età di 52 anni.

I due padri della lotta alla mafia erano legati sin dall’infanzia, quando giocavano nello stesso quartiere, per poi rincontrarsi in circostanze differenti. Dopo l’attentato a Falcone, dentro Borsellino qualcosa si rompe, ma continua, nonostante tutto il suo lavoro alla ricerca della verità, ma dopo la strage di Via d’Amelio “è perduto tutto”, si dissolvono i punti di riferimento più solidi.

Successivamente un gruppo di 8 P.M., tra cui Ingroia, si dimette dal Pool in forma di protesta ma, con Oscar Luigi Scalfaro, nominato Presidente della Repubblica, si rivive una 2° Primavera in cui la mafia placa il suo furore ostacolata dall’istituzione di nuove leggi. I pentiti si fanno avanti per DSC04694motivazioni più svariate e, grazie a queste testimonianze, nel 1993 viene arrestato Salvatore Riina, uno dei più grandi Boss mafiosi ai vertici di Cosa Nostra.

Il passato macchiato di sangue, ha lasciato un segno profondo nella coscienza della gente, e nonostante la Sicilia continuasse a convivere con il fenomeno mafioso, qualcosa inizia a muoversi. In tanti si ribellano e denunciano e fra questi Ingroia ricorda Libero Grassi, un imprenditore italiano ucciso dalla mafia nel 1991 per aver preso l’iniziativa di ribellarsi alla richiesta del “pizzo”, e nascono le prime Associazioni Antiracket.

Il nostro ospite racconta di aver interrogato ultimamente un pentito che ha dichiarato che attualmente i mafiosi stessi hanno paura di chiedere il pizzo timorosi della reazione della gente che, stando alla cronaca, diventa sempre più dura. Ingroia percepisce una linea di tendenza di evoluzione, pur specificando che ad oggi, nessuna zona in Italia è immune dalla mafia finanziaria, un tempo circoscritta solo alla Sicilia, ma l’importante è essere convinti che non si tratti di una battaglia persa in partenza. In linea di massima ha definito “utili” i sacrifici dei grandi perché hanno mosso qualcosa nell’ambito legislativo, anche se potevano essere utilizzati meglio e farne tesoro, in quanto è bene ricordare che la mafia non è mai ferma e che il panorama politico-sociale attuale non è dei migliori, quindi spetta al singolo cittadino non rendere vana la morte dei due Magistrati.

Molti i dubbi non esplicitati, ma lasciati intendere da Ingroia, nei confronti del nostro Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, imputato in più di venti procedimenti giudiziari tutti conclusosi con l’assoluzione, senza alcuna condanna. Il Premier tra il ’75 e il ’78 viene interrogato proprio dal Pubblico Ministero Antonio Ingroia, riguardo ad alcuni finanziamenti provenienti dalla Svizzera e destinati alla Fininvest, ma in quest’occasione si avvale della facoltà di non rispondere. Le ombre sul “Cavaliere” sono troppe, ma servirebbe aprire una pagina ben più amplia per parlarne, è un uomo che cambia anche il suo modo di pensare quando l’orientamento dell’opinione pubblica comincia ad avere maggiore fiducia nella giustizia, ed è qui che ognuno di noi, come cittadino, può fare molto.

Il Procuratore Ingroia ci sollecita ad un “non dimenticare” proiettato nel futuro.

L’attento e dettagliato racconto di una perenne lotta alla mafia, continua attraverso le domande di un pubblico avido di sapere. I primi quesiti, effettuati dalla Professoressa Tonia Scarnera, sono legati alla Legge sDSC04698ulle Intercettazioni, passata in Senato proprio il 18 maggio 2010, argomento anche del libro presentato da Ingroia “C’ERA UNA VOLTA L’INTERCETTAZIONE. La giustizia e le bufale della politica – Lo strumento d’indagine, la sua applicazione per reati di mafia e i tentativi d’affossamento”, un titolo che non lascia spazio a molti dubbi. Il Procuratore spiega come questa legge avrà effetti catastrofici in quanto tutti gli ultimi arresti di stampo mafioso sono stati possibili grazie all’intercettazione. Bisogna, infatti, partire dal presupposto che ogni processo di mafia trova il primo campanello di allarme in piccoli crimini e a questo proposito fa riferimento ad una grossa indagine sul riciclaggio avviata in seguito ad una intercettazione.

Seguono le domande di un invadente Giovanni Procino, dell’appassionato Prof. Attolico e del giovane Nico Casamassima che trovano risposta in un discorso conclusivo. Ingroia manifesta ancora una volta il suo disappunto nei confronti della legge sulle intercettazioni “autorizzate solo in presenza di evidenti indizi di colpevolezza” in quanto reputa illogico che debbano esserci prima le prove e poi le intercettazioni. Spiega inoltre come in Italia la media delle intercettazioni sia nettamente inferiore rispetto a quella mondiale, nonostante la criminalità risulti decisamente più alta che in altri Paesi, ma si tratta ad ogni modo dell’espressione di una scelta politica della classe dirigente italiana. Tra i progetti in cantiere vi è la volontà di riformare la Corte Costituzionale.

Il Procuratore si dimostra molto critico nei confronti dei media, nel momento in cui si occupano di mafia. È contrariato dalla fiction “Il Capo dei Capi”, messa in onda da Mediaset nel 2007, in quanto può avere, soprattutto nei giovani, dei risvolti negativi dando origine ad una mitizzazione della figura del mafioso. Il protagonista Totò Riina emana una sorta di fascino sinistro, e la critica è proprio verso la produzione di un genere che mira a fare audience senza badare agli effetti che possono derivarne. Ingroia sottolinea la presenza di Claudio Fava tra gli sceneggiatori, figlio di una vittima della mafia e dinanzi alla sua disapprovazione i produttori della fiction hanno detto di non potersi fare carico di una società malata, affermazione sinonimo di irresponsabilità sugli effetti prodotti.

Il magistrato evidenzia la sua grande conoscenza e passione per il cinema elogiando quello che a suo parere è stato uno dei film sulla mafia più riuscito di tutti i tempi: “Salvatore Giuliano”, di Francesco Rosi, un film sul potere, di oggettività degli avvenimenti, attinente ai fatti senza dare spaziDSC04696o ai personaggi che a partire dal protagonista, hanno un ruolo marginale. Condanna invece “Il Siciliano”, di Michael Cimino (1987), una sorta di biografia del bandito siciliano Salvatore Giuliano, che lo ritrae come un Robin Hood di altri tempi “fatto male” che passa un’informazione sbagliata di divinizzazione mafiosa. Tra le serie televisive che affrontano l’argomento cita “I Soprano”  – che narra la vita di Tony Soprano, un boss della mafia italoamericana – che ha riscosso un grandissimo successo in America ma non in Italia, che ancora oggi non riesce a ridere della mafia nonostante si facciano spazio dei segnali positivi di una cittadinanza attiva.

La serata si conclude con la consegna degli attestati e i ringraziamenti a coloro che hanno reso possibile la presenza del Procuratore Ingroia in una giornata così  importante. Nonostante l’ospite illustre, l’Auditorium del liceo R. Canudo ha esitato a riempirsi pur trattandosi di una realtà che ci appartiene e che dovremmo osservare più da vicino perché “per non dimenticare” bisogna innanzitutto “conoscere”.

“La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine” (Giovanni Falcone)

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