MARIACHIARA LOBEFARO STRONCA WALTER SALLES
La rubrica “le giovani recensioni” si arricchisce ulteriormente grazie alla partecipazione di una nuova giovane penna, Mariachiara Lobefaro, che si è cimentata in una recensione cinematografica. E precisamente sul film “Sulla strada” per la regia di Walter Selles, tratto dall’omonimo libro dello scrittore Jack Kerouac. Buona lettura a tutti.
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Nella sua breve ed intensa esistenza Jack Kerouac ha scritto una ventina di romanzi, ma il suo nome è condannato ad essere legato a doppio filo solo ad uno di essi, ossia “Sulla strada”.
Citare Sulla strada dispensa una certa aria di intellettualità disimpegnata, perché il libro in questione, oltre ad avere inaugurato un genere, è considerato per buona misura “il manifesto della Beat Generation”. La Beat Generation, appunto: qualcosa che conserva un alone di seduzione e che alletta ancora certe menti nostalgiche (dopotutto, avremmo avuto Woodstock senza?), ma che, forse per la saturazione ideologica, oggidì ha compromesso parte della sua limpidezza.
E se il termine “hipster” ha perso i connotati originari, non mancano in giro detrattori di Sulla strada, che ne biasimano più o meno aspramente la supervalutazione. Sia come sia, il libro non ha evidentemente smesso di esercitare il suo fascino, a tal punto che Walter Salles – il regista del riuscito “I diari della motocicletta”, per capirci – si è coraggiosamente cimentato nella sua trasposizione su celluloide.
Riuscendo, almeno in apparenza, laddove molti avevano fallito: ad abbandonare l’impresa in fase di pre-produzione erano stati nientemeno che Coppola, Godard, e più di recente Gus Van Sant. Forse Salles – che pure conosce il mestiere – avrebbe fatto meglio a lasciarsi scoraggiare dai precedenti, dal momento che il suo On the Road è qualcosa di appena meglio che un disastro a tutti i livelli; e le numerose ellissi spazio-temporali su cui è imperniata la pellicola rendono ostica la comprensione di una vicenda ulteriormente penalizzata dal ritmo sincopato e frammentario.
Tuttavia, quanto di fatto nel film c’è (svariate invenzioni di sceneggiatura, scene di sesso ad aumentare la soglia di attenzione dello spettatore medio, una Kristen Stewart fortunatamente non onnipresente ma espressiva al pari di un copertone) è in definitiva meno rilevante di ciò che manca: ossia il pathos, il dinamismo che è condizione imprescindibile del road movie, e – cosa ben più imperdonabile – la strada. Se, come dice l’autore, “la strada è la vita”, questo film non ha ragion d’essere, poiché al suo interno viene irrimediabilmente meno il concetto di viaggio – ovvio principio sostanziale del romanzo.
Kerouac aveva infatti messo in scena la parabola itinerante di due ragazzi alla ricerca di una felicità chimerica, lontano dagli spettri della vecchiaia, del conformismo, e soprattutto della noia. Salles ne restituisce un vano simulacro, dalla patina falsamente realistica, e si smarrisce in quelle che appaiono superficiali peregrinazioni, depauperate del senso originario.
Appropinquandosi alla fine, a sorpresa la narrazione si carica di accenti nuovi e di vigore espressivo; senza fuochi d’artificio, la regia approda a quella che è la conclusione degna. Ma, parafrasando Kerouac, non conta la destinazione quanto il percorso: e neppure la buona prova finale riesce a nobilitare un film che ci appare già datato e destinato al dimenticatoio.
(Mariachiara Lobefaro – III B Liceo Classico)