DI MAGLIE E L’ILVA, DOPO GIOIA, TORNANO D’ATTUALITÁ-video/foto
Torna di estrema attualità a seguito delle tristi vicende di cronaca sull’Ilva di Taranto, l’incontro su economia e sviluppo industriale organizzato dal Pd e condotto da Vanna Magistro e Giovanni Nicastri nel chiostro comunale in febbraio.
Ospite della serata insieme all’onorevole Ludovico Vico, il cantautore Daniele Di Maglie.
Il musicista, chitarra alla mano e voce affabulante, delizia i davvero pochi presenti cantando di Sifone e dei suoi fratelli generati dall’Ilva – ex Italsider, mostruosa creatura che per “partogenesi” ha dato vita a metaforici ciclopi eruttanti fuoco e fumi. Nel loro colore il vaticinio di un tristissimo futuro insanguinato dal sacrificio delle vittime sul lavoro e dalle morti causate da malattie endemiche e tumori.
La sua denuncia sfiora il pathos e pur non vestendo il ruolo omerico di “cantastorie”, attraverso la parola scritta e la musica il dissenso arriva forte e chiaro.
“L’altoforno. L’Ilva nei racconti e nelle canzoni di un cantautore di Taranto” – cofanetto contenente il libro ed il CD nel quale ascoltare “L’Altoforno” già presente nel suo album “Non so più che cosa scrivo” e l’inedita “Non lavorare stanca” -, racconta di un’illusione, quella del progresso, della modernità che ha sedotto i tarantini, tanto da impedir loro di vedere l’agonia di una città impietosamente avvelenata in difesa di un diritto al lavoro che lede il sacrosanto diritto alla salute, diritto al quale chi lavora non può né deve rinunciare.
“Come gli uomini della caverna di Platone, incatenati sin dalla loro infanzia nella sua profondità, vissero nella convinzione che le ombre fittizie delle loro membra sulle pareti fossero l’unica realtà possibile e furono restii ad accettare una realtà altra, così i Tarantini, sono cresciuti guardando la propria città e il suo mostro – ieri Italsider, oggi Ilva – considerandolo parte integrante del paesaggio naturale, sua presenza imprescindibile, irrinunciabile…”.
Al centro c’è il Sifone, la ciminiera più alta dell’Ilva, visibile da ogni punto della città tranne che nei vicoli della Taranto vecchia, che il gigante vorrebbe controllare con le sue “ordinanze”.
Qui, nel cuore antico della città, quello in cui l’orgoglio palpita e vibra, vive Sisifo, personificazione dell’umana perseveranza che sfida gli dei e la morte tanto da meritare la punizione di una eterna fatica. Sisifo non si arrende e il suo coraggio sarà premiato.
Daniele Di Maglie dà voce, speranza e interpreta questo indomito spirito, in contrapposizione con la rassegnata accettazione di chi vede legata la propria, precaria sopravvivenza ai fumi di Sifone.
E lo fa con amore, lo stesso che disegnando venature di pura poesia nella dura denuncia della sua satira, ne incrina la superficie. Sono i colori dei suoi ricordi, della sua infanzia nel rione Tamburi, degli odori nauseabondi, del ritmico pulsare degli altiforni – metronomo di accordi e pensieri -, di fragori e fantasmi di fumi che ammorbano il cielo. La musica può esorcizzarli, ma non bonificare la realtà né restituire salute a chi non l’ha più.
“Ho visto amici, conoscenti e parenti ammalarsi e morire. Nel rione Tamburi l’incidenza dei tumori è quattro volte più alta che altrove, non c’è un monitoraggio che colleghi questo dato alla presenza dell’Ilva, ma è evidente.”
“Un enorme traliccio segnava il confine con l’area dismessa un tempo proprietà del Comune, lì – racconta Daniele – il fragore era intenso e bagliori fiammeggianti squarciavano il cielo a folate regolari, puntuali come pulsazioni elettriche. La terra tutta risentiva della pressione dei pistoni e delle macine e dei vasconi di raffreddamento. Dai balconi vedevo il Sifone…tum, tum, tum…”
Ed inizia il suo canto.
“… Nessuno lo può spegnere! Nelle sfumature viola, giallo, ocra si legge il futuro, i vecchi ricordano il colore indefinito della sua verginità, colore che dura il tempo di un singhiozzo trangugiato dall’aria. Polvere, panni stesi a gocciolare sangue… Tutto somiglia a una fabbrica, nel grigio quartiere Tamburi, anche le chiese”.
Il cantautore, in risposta alle domande di Vanna Magistro, confessa di avere un rapporto controverso con la sua città, “… è ripiegata su se stessa, non offre spazi espressivi…” . Vi torna per incontrare i suoi genitori e gli amici, pur vivendo e lavorando nel capoluogo come educatore in un centro diurno per disabili psichici, dopo aver conseguito la laurea in Scienze Politiche.
Al suo attivo un tour e numerosi premi per “Non so più cosa scrivo” e “La ballata dei raminghi adirati”. Vanta, inoltre, collaborazioni di pregio con Simone Martorana, Cristò e Giovanni Chiapparino, Lelio Mulas, Gianni Gelao e Caparezza, che ha arrangiato un suo brano: “L’uomo assente”.
Ludovico Vico apprezza il contributo di Di Maglie, pur non essendo “l’interlocuzione per la soluzione” ed entra in argomento sul polo siderurgico (poeticamente ed etimologicamente definito “polvere di stelle”). Lo fa accennando ad un relativismo culturale ed etico per poi passare alle logiche di mercato, al prodotto interno lordo, alle leggi nazionali sulla diossina, ai mesoteliomi… Esplora a 360° le problematiche e tocca il tema della sostenibilità, di un’economia ambientale che sia anche socialmente compatibile. Focalizza su tre elementi l’azione politica del Partito democratico: qualità ambientale, sociale e investimento economico.
“Se la sostenibilità viene vissuta come fatto comune – conclude -, l’inquinamento ci deve stare o si chiudono le fabbriche”.
Per Giovanni Nicastri “…scontiamo la fine di un modello di sviluppo, di ritardi su politiche industriali. C’è il confronto, la disputa, ma la soluzione non arriva mai. Intanto la Cina rileva le industrie europee… Si può salvare l’Ilva e investire quattro miliardi per bonificare Taranto. Se il gruppo Riva non sosterrà finanziariamente, si dovrà procedere alla soluzione estrema: l’esproprio di un impianto di interesse strategico nazionale. Se delegittimiamo le istituzioni, è il gioco del qualunquismo storico e dell’antipolitica”.
Daniele Di Maglie esprime il suo disincanto in merito non solo a parole, ma anche in musica con il suo ultimo brano “Non so dove andare”.
“Questa casa è una fucina nera, piene di farfalle, fredde e gelide le mie lenzuola, dammi fuoco, dammi l’amore…”.
E forse – al di là di tante promesse – solo l’amore, l’orgoglio, il senso di appartenenza ad una città che coraggiosamente tenta di rigenerarsi e riconvertirsi, potranno riscattare Taranto e diradare lo spettro della disoccupazione e quei “fumi” cangianti che ancora incombono ed ammorbano il suo futuro.