UN “MACELLUM” DI EMOZIONI AL ROSSINI CON RESEXTENSA-foto
Nel buio lame di ferro risuonano e cantano. Attendono che una lama di luce interrompa il loro duello e ponga fine alla dialettica contesa. Orazio (Titta Ceccano) narra la sua lucida follia, canta filastrocche dall’eco tribale, stravolge la teutonica, algida bellezza del testo di Muller, ne forgia e interpreta l’umano furore per poi temprarlo al pathos di brezze mediterranee.
Cerca perdono mentre il bene e il male urlano le loro ragioni e sussurrano – in un delirio recitativo a più voci – verità inconfessabili.
La luce disegna chiaroscuri, scolpisce il corpo e il volto dell’Orazio e dei suoi due bianchi fantasmi, imprigionati in una immobilità ricercata, enfatizzata dall’eco di uno scacciapensieri, di accordi sulle corde di chitarre ritmicamente percosse e da lumi saettanti.
Roberto Caetani scandisce e orchestra il tempo, dialogando, al pari del protagonista, con il pubblico.
Orazio, implacabile, rievoca il dramma dell’amore, lo interpreta cullando l’allegoria del nulla, ne drappeggia le vesti, ne accarezza il candore…
Le note rimarcano, leniscono, esaltano, inseguono la narrazione, competono con la drammaturgia di luci che “tagliano” scene e volto e di ombre che ne amplificano la statuaria plasticità e la potenza recitativa.
“Macellum – ovvero il valzer dell’Orazio”, vincitore del Premio Speciale della Giuria al Festival 3X3, finalista Argot Off 2012 e Vd’A 2013, è l’ultima produzione di MatutaTeatro, regia di Julia Borretti, ospitata dal Vd’A del teatro Centena e di ResExtensa nel Rossini, il 27 aprile.
“Il progetto – afferma la regista – pone l’attore al centro della creazione”.
L’interazione luci – musica, volutamente dialogante, tesse vibrante attesa e sottolinea cambi di scena e “l’ingresso” di nuovi personaggi, evocati dall’eclettico Titta con una semplice variazione del registro vocale. Il tutto senza scalfire né scomporre l’intensità espressiva e la fluidità di una narrazione drammaturgicamente sempre “sulle e nelle corde”.
Titta Ciccano, abbandonati coltelli e grembiule da macellaio, si rivela un amabilissimo interlocutore: attore, regista, autore, appassionato di teatro terapia, scrittura filmica, dedito al sociale, animatore teatrale in carceri e in strutture psichiatriche. Nel video, che pur non rende giustizia alla bravura “in diretta”, una breve anticipazione di quanto applaudito.
Abbiamo chiesto a Luisa D’Aprile, studentessa di V ginnasio del Liceo classico P. V. Marone, un contributo sull’opera teatrale in concorso. L’attenzione, l’impegno e la maturità di questi ragazzi, lasciano ben sperare, non altrettanto l’indifferenza di tanti adulti che si sono negati il piacere di assistere a spettacoli di altissima qualità: il Teatro si nutre e nutre di emozioni!
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“Fulcro dello spettacolo, tratto da “L’Orazio” di Heiner Muller, è la tragica ma allo stesso tempo avvincente storia dell’aspra lotta fra Orazi e Curiazi, gli uni rappresentanti di Roma, gli altri di Albalonga. Un solo attore, rivestendo i panni di un macellaio sui generis o forse quelli di un maniscalco, ha svolto il ruolo di narratore e, attraverso un profondo monologo, le cui parole hanno catturato l’attenzione di tutto il pubblico, ha rivelato il drammatico destino infelice di Orazio e di sua sorella Camilla Orazia. L’ultimo Orazio aveva ucciso l’ultimo dei Curiazi, promesso sposo della sorella del suo assassino. La vittoria di costui ha determinato la piena supremazia di Roma su Albalonga, ma i festeggiamenti sono interrotti dal crudele e commovente omicidio di Camilla Orazia da parte di suo fratello. Si apre così un dilemma: Orazio deve essere ricordato da tutti come IL GRANDE VINCITORE o come L’ASSASSINO di una vittima del tutto innocente? Il tutto culmina con la morte dell’Orazio il quale, dopo esser stato festeggiato a dovere, viene ucciso e il suo cadavere gettato in pasto ai cani.
Rilevante è stata la grande bravura dell’attore, il quale, attraverso un’abile combinazione di luci e suoni (ovvero l’accompagnamento della chitarra e i ripetuti colpi di tamburo), ha portato avanti il racconto di questo massacro, presente tra i miti di fondazione della nostra società occidentale. Molto particolari e di grande effetto sono stati i manichini di stoffa bianca ideati da Jessica Fabrizi, uno maschile, l’altro femminile, la cui presenza ha prodotto un esito migliore di quello che sarebbe stato offerto da figure di altri attori sulla scena. Inoltre, molto significativo è stato il suono originato dalle lame di coltelli che venivano sfregati tra loro e che contribuiva, unitamente alle luci e al resto della musica, a conferire maggiore suspense alla rappresentazione. Ne deriva un giudizio del tutto positivo di noi studenti del Liceo Classico “P. Virgilio Marone”, spettatori di questo Festival.”
[Luisa D’Aprile]