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IN-CAPACI DI DIMENTICARLI. FALCONE E BORSELLINO

incapaci falcone

incapaci falconeCi fanno entrare tutti. Prendiamo posto e attendiamo. Spengono le luci, tranne quelle che illuminano il palco, e comincia lo spettacolo. La scenografia: un tunnel al centro, un trenino elettrico davanti, due uomini in tenuta da lavoro seduti ai lati con una bottiglia di birra in mano. Il trenino doveva rappresentare il treno che quei due attendevano nervosamente. Ma perché nervosamente, perché con angoscia e trepidazione se in fin dei conti avrebbero dovuto soltanto spingere un interruttore? Le tragiche conseguenze che ne sarebbero derivate, l’esplosione del vagone, la morte iniqua di bambini, donne e uomini non sarebbe dipesa dalla loro azione, ma dall’ordine impartito da Salvatore.

“Non ti puoi mettere con lui. Quello ti fa fuori. Se gli sei di fronte non puoi permetterti neanche di alzare gli occhi all’altezza del suo viso”. Realtà e gioco, umorismo intervallato continuamente da battute e momenti di tragedia. Il tunnel, i due pilastri e il traliccio su cui passano i binari hanno misure irregolari e mal proporzionate, quasi a voler indicare il disordine, il malaffare, la corruzione, il silenzio ingannevole, le promesse pericolose. Un Sud macchiato di tali accuse deve far emergere i suoi lati migliori, la nostra è ancheincapaci falcone terra di ribellione, senso del dovere e senso civico.

Sono Paolo e Giovanni i protagonisti dello spettacolo, scritto da Michele Bia e portato in scena da Franco Ferrante e Raffaele Braia. Paolo, il più alto e il più asciutto, e Giovanni, più basso e rotondo, sono in attesa di qualcosa. Paolo è nervoso, è pensieroso, ambiguo, ha paura ma tenta di reprimerla e di non farla notare al suo compagno, il quale sembra voler esternare tutto quello che gli passa per la mente. E’ più calmo, più tranquillo, il “simpaticone” tra i due. Devono superare una prova tremenda, che li metterà a dura prova e che potrebbe costarli molto cara: se vogliono contare nell’organizzazione ed essere stimati devono far saltare un treno in cui viaggia un personaggio scomodo per la criminalità organizzata.

L’attesa è lunga ed estenuante. Logorante perché ti “mangia” dentro, scoprendo ansie, preoccupazioni, rimorsi e paure. Paolo è sempre più nervoso, collerico, rabbioso, si muove continuamente, il suo sguardo è perso, dalla sua bocca, dai movimenti stanno per esplodere la rabbia, la preoccupazione il rimorso che lo consumano. Giovanni, invece, non smette di rivelare tutto, confessioni, vicende trascorse in passato, per dimenticare, per consolarsi, ma soprattutto lo fa beincapaci falconevendo, esageratamente, la birra che ha portato con sé. Eppure, per quanto Paolo senta corrodere l’animo dai rimpianti e dai rimorsi vuole mascherare la propria paura per mostrarsi coraggioso, diligente e rispettoso dei compiti affidatagli e delle promesse mantenute. Dubbi e timori affiorano nell’animo di entrambi, però loro, dubbi e timori non possono averli.

Chissà a chi toccherà, ah Paolo?; a un ministro, a un capomastro, a un capo della polizia, a un prete, a un uomo, a una donna, a un bambino…”. “Qui bisogna prendere una decisione” dice Paolo, “O eroe, o minchione”. Non bastano 20.000, non bastano; potremmo aggiungere un’infinità di zeri a tale cifra, eppure non riusciranno mai a ripagare e a far dimenticare le conseguenze di un’ azione ingiusta e di un atto tanto grave. “O eroe, o minchione. O eroe, o minchione” si ripete Paolo. Cosa deve fare? Vuole auto convincersi che l’azione che sta per compiere, in realtà, non dipende dalla sua volontà, la colpa di tutto quello che ne deriverà non potrà essere riversata su di loro.

“Se ci chiedono qualcosa, diremo che non abbiamo fatto nulla, che siamo stati spinti e costretti a incapaci falconefarlo; in fondo la colpa non è nostra, la colpa è di Salvatore!” Eppure la coscienza è più forte delle nostre decisioni dei nostri inutili tentativi di dimenticare o di tentare di trovare disperatamente cavilli per giustificarci o scagionarci dall’atto compiuto. E’ così che, a un certo punto, davanti ai nostri occhi appare una scena dolorosa, forte, che ci ha inevitabilmente indotti a riflettere: lo scontro violento tra i due compagni. La scena viene conquistata da musica e immagini folgoranti. Ma in quel momento non sono loro a battersi, è la loro coscienza. Non sono riusciti a sopportare una situazione tanto amara, tanto gravosa e tanto denigrante quanto questa. Così il loro malessere represso è esploso in violenza, pugni, botte, schiaffi. Solo così poteva venir fuori.

Eppure hanno compreso, hanno capito, sono riusciti ad ascoltarsi. Il treno passa, ma nessun pulsante del telecomando viene premuto. Sorridono, si abbracciano. Una prova ben più grande hanno superato, non quella di esser rimasti ligi ai loro “compiti”, ma quella di aver detto finalmente “basta”, rivelandosi INCAPACI di cadere in quella trappola, INCAPACI di far finta di niente. “Capaci ci appartiene…. e basta! basta! basta!”. I loro nomi, infatti, vogliono essere ricordo di due uomini straordinari, due uomini che hanno amato il proprio paese, che hanno amato la propria vita fino a sacrificarla: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Mariangela Mastromarico [IV C Liceo “R. Canudo”]

 

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