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EMANUELE SAVASTA, CONQUISTA LA SUA POETICA MALINCONICA

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savasta-a-spazio-unotreQuando Salvatore Certo se ne andò, ebbe il dolce pensiero di regalarmi i suoi disegni […]”. E dalla esigenza di dar voce a quei meravigliosi disegni, nascono i versi di Emanuele Savasta, che giovedì scorso, 3 febbraio 2011, sono stati presentati presso Spazio Unotre; luogo dedito ad attività culturali, e messo a disposizione da Mario Pugliese, ospite dalla grande generosità.

Salvatore Certo, chiamato dai suoi compaesani ‘don Terruzzu Certo’, nato nella prima metà del Novecento a Palazzo Acreide – paese natio dello stesso Emanuele e splendida colonia greca della nostra Sicilia –, fu artista ed artigiano del legno di indubbio valore. Fu ammirato – come il giovane siciliano tiene a ricordare – dai più e dal generale Badoglio durante la sua permanenza romana, e molto amato anche in Australia, dove visse a lungo. Quando tornò nella sua Terra, dolce e amara al contempo, non riuscì ad affermarsi con la sua sola arte, ma “si conserva ancora il ricordo intatto di un maestro raro, che ogni giorno, nonostante il lento incedere e le note difficoltà di una malattia come il Parkinson comporta, raggiungeva la savasta-versisua bottega”.

I versi di Emanuele dettati da un’interiorità non comune danno voce a dei ritratti: “O donna dagli occhi scuri,/ […]/ Non ti ho trovata tra le tende ricamate ne alle foci della fonte,/ nei cassetti del mio armadio o tra gli specchi./ Ti ho trovata per strada, in un gesto veloce/ fra le donne come te”.

Danno voce ad un’insita malinconia: “Specchio/ rigiravo la malinconia tra barocchi intrecci/ per disegnare te”. E, sempre attraverso l’oggettvalerio-pastoreo dello specchio, narrano di quella necessità di guardarsi dritto negli occhi per scendere nel profondo: “Lo specchio è un motivo per conoscersi e poi orientarsi/ solo così si può attingere nel pozzo dell’anima”.

In proposito toccante è il paragone con l’elemento dell’acqua, elemento predominante nella sua poesia: “L’acqua è profondamente sensibile: tende sempre verso il basso. S’infiltra tra le crepe e spinge, filtra, scava”.

Narrano del bisogno di pnotarnicola-matteoerdersi, per poi riuscire a ritrovarsi: “Evadere/ disperdere i contorni del mio Io […]”. I versi del giovane siciliano parlano della caducità del tempo, della bellezza delle stagioni: “Respiro deliziandomi del fresco e dei giorni brevi di stagione”. Parlano del cocente sole estivo: “Sotto il sole d’estate provo immensa gioia/ quando il calore africano brucia le terra dissolvendo la quiete”.

Nei suoi versi torna quelmal di vivereraccontato da Montale in uno dei suoi Ossi più belli: “era il rivo strozzato che gorgoglia”, così Emanuele cita in un suo componimento. Ed ancora: “ho nascossavasta-declama-le-sue-poesto il mio viso tra l’erba bagnata d’autunno,/ il peso dell’angoscia e del dolore ho gettato/ lungi da me”. Sceglie, inoltre, di scrivere in metrica, in quanto crede che “oggigiorno la poesia sia stata troppo semplificata”. Utilizza come termine di paragone la pittura di Picasso, perché per ribaltare delle regole bisogna conoscerle.domenico-paradiso

Ad accompagnare Emanuele, la raffinatezza del piano di Matteo Notarnicola, e la nota bravura di Valerio Pastore con disegni in digitale. La serata si è conclusa con le parole di Filippo Paradiso lette da Domenico Paradiso, che ha presentato la serata: “Mi ha tenuto compagnia e mi ha emozionato la lettura dei versi del giovane, e già maturo, Emanuele Savasta. L’ho sentito e mi ha fatto riscoprire strade ormai desuete, un leggero riscoprire di cose e di situazioni dal famigliare odore. […] Per me la poesia è altro, ed altro ho trovato in quasi tutti i suoi versi”.

Un sentito ringraziamento a Fabio Guliersi per il suo immancabile e artistico contributo fotografico.

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