“ConFine – ROSSINI”, ANTEPRIMA CAPACE DI EMOZIONARE-foto
È sulla parola ‘conFine’ che l’assessore alla cultura, Piera De Giorgi, si sofferma. Confine come limite per poter andare oltre. Come limite per poter cercare l’altrove. Confine come fine, finalità, obiettivo … Scopo che si risolve nel momento dell’incontro. Confine come ‘ConFine – Rossini’, titolo della stagione teatrale 2012-2013, diretta dalla ‘ResExtensa’ – compagnia teatrale che abiterà il teatro comunale ‘Rossini’ –, inaugurata nella serata di mercoledì 14 novembre.
Una stagione che mira ad una rinascita, ad un nuovo percorso di crescita, e di confronto. Che mira alla cura del dettaglio: “[…] Mi piacerebbe riportare il teatro Rossini all’attenzione della stagione teatrale ‘La cura dell’orlo’”, in questi termini si esprime, nel suo discorso introduttivo, un’emozionata Piera De Giorni.
E il viaggio, all’insegna della cultura, inizia con un’affascinante pìece, data dall’essenziale regia di Carlo Bruni, e interpretata dalla straordinaria Nunzia Antonino, accompagnata dalla raffinatezza musicale di Paolo D’Ascanio.
Al centro la potenza espressiva delle parole. Parole piene e consistenti … Parole amare che parlano di un Italia che non è capace di accogliere, che parla della difesa della nostra identità, fautrice di battaglie contro i kebab, ma promotrice, per paradosso, di patatine fritte e cheeseburger. Fautrice di una politica xenofoba che fa sì che la meravigliosa attrice affermi: “[…] salviamo l’Italia ormai priva di anima”.
E per redimerla, i libri, la poesia, la letteratura … la bellezza delle cose. Guardare gli occhi che vi guardano e vi amano, guardare un bambino, per ricordare che “Quando il bambino era bambino,/ se ne andava a braccia appese. /Voleva che il ruscello fosse un fiume,/ il fiume un torrente,/ e questa pozza il mare”. Che: “Quando il bambino era bambino,/ era l’epoca di queste domande:/ Perché io sono io, e perché non sei tu?”. E che: “[…] non riusciva ad immaginare il nulla,/ ed oggi rabbrividisce al suo pensiero. […] Aveva timore davanti ad ogni estraneo,/ e continua ad averne”. E che infine: “Quando il bambino era bambino,/ lanciava contro l’albero un bastone, come fosse una lancia./ E ancora continua a vibrare.”, (P. Handke).
É un viaggio nella memoria, quando i ricordi si fanno ombre lunghe del nostro breve corpo … quando le rimembranze aiutano l’attrice a capire che in un angolo del suo cervello c’è il tocco delicato di suo nonno, il quale le diceva sempre: “[…] Ognuno deve lasciarsi dietro qualcosa, in modo che qualcosa di buono porti l’impronta del nostro passaggio”. Perché l’appartenenza, detta con Gaber, non è un insieme casuale di persone, ma è avere gli altri dentro di sé. Trattasi di un viaggio iniziatico, nel quale la meravigliosa attrice afferma che, in fondo, “cadere per lei non è mai stato un evento speciale”.
Nell’inciampo stonato, nel vuoto imprudente di un crollo interiore, ci si accorge che siamo noi ad avere nella nostra testa un muro, e che avremmo tutto ciò che occorre per essere felici, ma continua a mancarci sempre qualcosa.
E così tra gli eventi, le emozioni, i sentimenti, di una vita che ha in sé la forza dell’universale, si ritorna alle parole, ai libri, che ci offrono un riparo. Alla loro forza salvifica. A Leopardi. A Montale. A quei versi che raccontano l’amore: “[…] Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio/ non già perché forse con quattr’occhi si vede di più./ Con te le ho scese perché sapevo che di noi due/ le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate/ erano le tue”.
All’augurio finale, fattoci dagli stessi Nunzia Antonino e Paolo D’Ascanio, di una rivoluzione sentimentale nella quale riuscire ad essere liberi. E la libertà di opinione, di scelta, e di azione cresce anche in un teatro intelligente.
Un’anteprima degna di nota, capace di offrire molteplici spunti di riflessione. Capace di emozionare.